Pd: “Pensare Domani”

imageDocumento del gruppo under40 del Partito Democratico del Verbano Cusio Ossola

La società italiana, i suoi repentini cambiamenti, l’economia e la mutata cultura politica degli italiani, l’esigenza di un Partito Democratico principale forza di opposizione al Governo Berlusconi, forte e strutturato, capace di elaborare politicamente soluzioni strutturali contro la crisi economica, la precarietà contrattuale e sociale delle nuove generazioni, il populismo scellerato della maggioranza su scuola, immigrazione, sicurezza e disuguaglianze sociali, emergono come cardini di un nuovo modo di fare politica che invochiamo al Partito Democratico: nei contenuti e nella forme organizzative.
La recente sconfitta alle elezioni amministrative sia a livello nazionale che locale, con la perdita della provincia e di molti comuni tra cui il capoluogo, ci spinge oggi ad una analisi approfondita del voto politico che ne è scaturito, ci esorta a porre l’attenzione sulla qualità e le modalità di amministrare il territorio ed anche alla necessità (non del tutto scontata) di fare opposizione in modo più o meno ferreo che il partito dovrà svolgere nelle sedi istituzionali riappropriandosi del proprio contatto con i cittadini.
Il Partito Democratico non è stato in grado di scendere nel quotidiano, di confrontarsi con le persone e coinvolgerle nei momenti decisionali interni ed esterni ad esso.
Non sono bastate le primarie, rese a volte blindate da liste e candidature bloccate.
Non è stato sufficiente il confronto con il mondo delle associazioni, delle professioni e con le realtà economico-produttive piccole e medie del territorio.
È venuto meno il coinvolgimento della base, iscritti e simpatizzanti, cittadini, elettori; non ha funzionato del tutto, come auspicato, il radicamento a causa di problemi, vizi organizzativi e di partecipazione.(segue)
 
Risulta necessario quindi incrementare i momenti di incontro e confronto, entrare in contatto con la società condividendone gli spazi, i luoghi di lavoro, andando nelle piazze, ascoltando le esigenze e spiegando il progetto politico del Partito Democratico ai cittadini, garantendo la presenza ed il vero radicamento territoriale: tenendo aperte le sedi del partito con regolarità ed orari prestabiliti, promuovendo occasioni stabili di incontro, giornaliero, settimanale o mensile, invitando a partecipare iscritti e simpatizzanti, promuovendo il tesseramento con continuità e non solo in procinto di appuntamenti elettorali o congressuali.
Sul piano politico troppo spesso il Partito Democratico si è identificato come il partito del fairplay, aperto al dialogo incondizionato, al rispetto degli avversari politici, al perenne compromesso anche quando scomodo, al ribasso o in alcuni casi a tutela di una limitata parte della società.
Troppo di sovente la linea del Segretario Nazionale è stata messa in discussione da voci "libere" o "fuori campo". È mancata compattezza, coraggio e coerenza con la base ideale da cui si ispira il Manifesto dei valori, rimasto "carta da pareti" per una stanza piena di contenuti disordinati.
Per questo motivo i militanti non hanno potuto comprendere il comune disegno politico determinato dai gruppi dirigenti su temi sensibili, urgenti, a lungo termine o di ampio respiro poiché si è preferito non scegliere, non creare posizioni scomode tra dirigenti nazionali e non pungolare sensibilità reciproche su posizioni diverse, con il risultato di fratture laceranti che hanno portato alcuni esponenti ad allinearsi con le posizioni dei nostri avversari politici.
In seno a militanti ed iscritti (la base) esiste però una linea comune dalla quale partire e prendere spunto nel dibattito: dal basso verso l’alto.
Il progetto politico è andato avanti anche se i dirigenti del Partito Democratico si sono fermati o non hanno saputo ascoltare.
Gli iscritti sono oggi forse più avanti dei loro stessi gruppi dirigenti, nati da cooptazioni ed equilibri tra correnti durante le primarie costituenti del partito.
Troppo tempo si è perso per costruire una democrazia di facciata, con primarie truccate.
Troppo spesso le regole non sono state rispettate.
Troppe volte si è preferita una moratoria del dibattito al confronto democratico.
La scelta delle politiche da perseguire non può ridursi ad inseguire gli avversari sul campo della demagogia e del populismo: si deve trovare il modo di esprimere con semplicità i concetti chiave della linea politica scelta democraticamente in modo chiaro, serio, coerente e coraggioso: a partire dalla Convention alla quale presentare documenti come questo, da discutere e votare.
La comunicazione deve tornare ad essere creativa, provocatoria, semplice, ubiquitaria, a slogan ed immagini per raggiungere un popolo sempre più politicamente "analfabeta" da un lato, sazio dall’altro.
Il partito deve tornare a discutere di politiche locali e globali, nazionali ed internazionali, creare compattezza tra partito ed amministratori, fare rete di idee, esperienze e buone pratiche riconducibili, attraverso cui essere facilmente identificato.
Per essere forza propositiva ed alternativa alle destre è necessario che il Partito Democratico si riappropri della sue potenzialità e dei suoi sogni, che torni ad immaginare ed a costruire l’idea di un Paese migliore.
La forma partito e l’organizzazione sono temi centrali del dibattito e concause dell’incapacità del Partito Democratico di essere forza politica coerente e credibile a causa dell’indeterminatezza del progetto politico, di ambizioni personalistiche dei gruppi dirigenti, della difficoltà a determinare, costruire e sostenere la leadership.
È doveroso ridiscutere il ruolo del Partito Democratico come luogo di formazione, informazione, analisi, sviluppo ed elaborazione di idee e soluzioni: spazio realmente democratico in cui unità politica e di intenti, regole, questioni morali e meritocrazia diventino motivo di credibilità, affidabilità, autorevolezza e fiducia da parte dei cittadini.
Il Pd dovrà essere un partito fortemente strutturato ed organizzato, che sia presente in tutti i comuni e vicino a tutti i cittadini.
Un partito che sappia coinvolgere ed accogliere le istanze dei simpatizzanti (votanti alle primarie) e degli iscritti, distinguendone il ruolo per cui i primi possano votare per selezionare i candidati alle elezioni amministrative, i secondi direttamente coinvolti nei gruppi dirigenti e nella vita di partito.
Il ruolo degli amministratori deve essere legato a doppio filo al partito, affinché la linea politica possa essere discussa democraticamente nel partito, prima ancora che nelle istituzioni.
L’informazione deve essere strumento di aggiornamento quotidiano sul dibattito interno, le scelte politiche, le buone pratiche di amministratori e militanti.
La formazione politica deve essere lo strumento obbligato attraverso cui si costruiscono i nuovi gruppi dirigenti, in cui la meritocrazia dell’impegno e dello studio prevalgono sulla vicinanza a gruppi di potere o sulla cooptazione.
Vogliamo questo “modus operandi” per il Partito Democratico perché lo vogliamo per l’Italia di cui ci sentiamo motore propositivo.
Da queste considerazioni emerge la necessità di comprendere come e cosa rinnovare dell’esperienza politica a due anni dalla nascita del Partito Democratico.
Il tema del rinnovamento non può essere sostanziale se preso in considerazione da uno o l’altro candidato ma deve necessariamente aprire una fase interlocutoria tra i candidati alla Convention.
Il Partito Democratico deve scegliere come incarnare il rinnovamento, con quali risposte, soluzioni, risorse umane ed intellettuali, mettendo in discussione anche parte dei gruppi dirigenti, salvaguardando al contempo l’esperienza acquisita da amministratori e dirigenti ed accompagnandola nel cambiamento.
Ogni stagione ed epoca storica ha i suoi protagonisti e forse proprio perché essi sono gli stessi da decenni ai vertici della politica, l’attesissima novità del partito democratico è sfumata ben presto dal nostro elettorato deluso che non vede più nel Pd un’alternativa valida di opposizione e di governo.
Nella formula chimica del Partito Democratico nulla si crea e nulla si distrugge. In questi anni abbiamo assistito ad un rimescolamento degli stessi elementi senza sviluppare una nuova formula chimica vincente.
Comprendere una società profondamente cambiata negli ultimi vent’anni è fondamentale per costruire un ruolo nuovo all’interno di essa.
La novità politica può pertanto essere più facilmente interpretata da persone e gruppi dirigenti nuovi, eletti democraticamente sulla base delle tesi politiche sostenute, che sappiano fare sintesi con coraggio e determinazione in virtù del processo democratico congressuale che li determinerà inequivocabilmente.
Sintesi che dovrà essere determinata a maggioranza rispettata da tutti gli iscritti al Partito Democratico, anche da coloro che in modo minoritario avranno sostenuto posizioni differenti dalla linea politica maggioritaria, nel rispetto dell’istituzione riconosciuta nella forma partito e degli stessi iscritti ed elettori.
La libertà di coscienza per chi ha responsabilità di amministrazione può e deve essere liberamente esercitata negli spazi democratici garantiti e fondamentali dal partito: assemblee dei circoli, direzioni, esecutivi, gruppi consiliari e parlamentari o diversamente solo per arricchire il dibattito e la discussione nelle sedi istituzionali garantite dalla Costituzione della Repubblica.
A partire da questi presupposti, vogliamo estendere e mettere a disposizione questo contributo al dibattito al partito ed alla società civile che guarda con speranza al progetto del Partito Democratico.
Crediamo necessario condividere nel dibattito congressuale, in modo trasversale a tutti i candidati, questo ed altri documenti che verranno prodotti nei mesi a venire da questo gruppo al fine di rendere la Convention vero momento di confronto politico e non mero gioco di forze concorrenti.

La scure del governo si abbatte sulle Comunità Montane

imageLa Maggioranza governativa, con l’adozione del Codice delle Autonomie Locali, ha proposto l’abolizione delle Comunità montane. Si tratta di una decisione conseguente alla volontà della Lega, a livello nazionale, di difendere le Province, di cui il Partito del Popolo delle Libertà, alle elezioni politiche dello scorso anno, aveva proposto l’abolizione.I partiti che sostengono il Governo hanno trovato l’accordo proponendo il mantenimento delle Province e l’abolizione totale delle Comunità montane, senza alcun riguardo per le zone montane e marginali che, dagli Anni Settanta, hanno trovato proprio in queste Comunità l’Ente politico-amministrativo di rappresentanza dei residenti e dei territori della montagna. Se la proposta del Governo, come è probabibile, sarà approvata dalla Maggioranza di centro-destra in Parlamento, le Comunità montane non faranno più parte del sistema nazionale degli Enti Locali, ma questo non significa che, perlomeno in Piemonte, non esisteranno.
La materia rientra anche nelle competenze delle Regioni che possono, autonomamente, decidere di mantenere o di istituire Enti di rappresentanza politica-territoriale dei territori montani che, con l’abolizione del fondo nazionale per la montagna, saranno totalmente a carico del bilancio regionale. (segue)
La Regione Piemonte questa scelta l’ha già fatta con l’approvazione della Legge regionale di Riforma delle Comunità montane, che ne riduce il numero e ne definisce una nuova organizzazione, le funzioni e le competenze. Tant’è che la Giunta regionale sta predisponendo i decreti per il commissariamento delle attuali Comunità ed è già stata fissata la data per l’elezione dei Presidenti e dei Consigli delle nuove Comunità montane per il 7 novembre prossimo.
Gli Enti montani in Piemonte sono stati ridotti da 48 a 23 e gli amministratori saranno meno della metà e saranno eletti dai Consiglieri comunali; questo per creare organismi snelli e funzionali che possano operare con rapidità ed autorevolezza. Le Comunità montane, come sono state definite nella Legge regionale, oltre che dare rappresentanza politica-territoriale alle nostre valli e continuare a svolgere i servizi associati fra i Comuni, saranno soprattutto Enti che si occuperanno della manutenzione del territorio e di promuovere, realizzare e gestire iniziative e strutture per lo sviluppo economico-sociale delle aree montane di competenza. Saranno in sintesi “Agenzie di sviluppo” che dovranno vedere la partecipazione e la gestione unitaria di tutti gli amministratori che, a prescindere dalle collocazioni politiche, hanno a cuore il futuro delle nostre valli e di coloro che, tra mille difficoltà e problemi, continuano a viverci e a crederci.