1. Sul “valore” del voto non ci sono dubbi. Comunque lo si guardi, il risultato è storico. Mai negli ultimi cinquant’anni e più un partito aveva superato la soglia del 40 per cento. Ci si aspettava un risultato positivo, ma sinceramente in queste proporzioni nessuno poteva immaginarlo.
2. Siamo un partito, e un partito è in primo luogo una comunità di senso. Detto ciò non saremmo onesti sul piano intellettuale se non dicessimo che nella forza di questo risultato c’è l’impronta fondamentale di Matteo Renzi. È vero, abbiamo remato tutti nella stessa direzione, ma è giusto oggi riconoscere il ruolo fondamentale del segretario e del presidente del consiglio.
3. Pur rispettando una forza che raccoglie oltre 5 milioni di voti nelle urne, resta il fatto che Grillo ha promosso una campagna elettorale letteralmente irresponsabile, per i toni, i contenuti, le forme. Quel risultato non significa che non esista un’area sociale e politica segnata dalla rabbia e da una ostilità nei confronti delle istituzioni e della classe dirigente. Ma c’è stata una parte più ampia del paese che di fronte al rischio di una furia distruttrice, ha scelto la carta della speranza e della fiducia in un cambiamento possibile. L’Italia poteva smarrirsi, perdersi come era accaduto in altri momenti. Si è voluta regalare un altro finale. Non è cosa da poco.
4. La responsabilità per il PD adesso è accresciuta. Ovunque e, ovviamente, anche nel VCO dove il successo è largo, importante, meritato. Ora però, in generale, dobbiamo aggredire le riforme che ci siamo proposti. Mettere lavoro e redditi al primo posto, semplificare e sburocratizzare un’economia prigioniera di riti insopportabili, investire risorse del pubblico per fare ripartire i motori della crescita rilanciando i diritti, i consumi interni, le chance anche per chi in questi anni è stato lasciato indietro. E poi accelerare sulla delega fiscale, sul principio di legalità, sulla lotta a sprechi e privilegi, sulla rinascita culturale e civile di un’Italia che si presenta al nastro del semestre di presidenza dell’Unione con un bonus e credenziali persino insperate.
5. Il PD. Usciamo dal voto con un consenso che nessuno di noi aveva mai conosciuto nel responso delle urne. Tutto ciò deve metterci nella condizione di discutere finalmente quale idea e modello di partito immaginiamo per l’Italia dei prossimi anni. Non è questione di assetti, di incarichi. E’ noto che sul terreno della partecipazione alla politica e alla vita democratica si è consumato negli anni il nostro ritardo più grande. Adesso siamo nella condizione di colmarlo. E per farlo serve riaprire il cantiere di una sinistra capace di allargarsi, coinvolgere forze, personalità, movimenti che devono trovare nel nostro partito le risposte che cercano. E’ un fatto importante che la lista Tsipras abbia superato la soglia. Dobbiamo parlare anche con loro, aprirci a quel fronte, allargare i confini. E’ tempo di una nuova grande forza della sinistra italiana che sta nel PSE.
6. La destra si è frantumata. Esito inevitabile di una concezione padronale e proprietaria di quel campo. La parabola del leader storico di quello schieramento si è consumata. Saranno loro a discutere forme e tempi di una riorganizzazione inevitabile. Se da questo confronto dovesse sortire una destra di impronta europea e moderna, la democrazia italiana ne guadagnerebbe in linguaggio, stile, salute.
7. A Verbania c’è il ballottaggio. C’è da lavorare per completare il successo di Silvia Marchionini, del Pd e del centrosinistra. Dobbiamo costruire le ragioni perché l’8 di giugno sia un’altra bella giornata.
Marco Travaglini