L’assemblea del gruppo Pd alla Camera ha approvato all’unanimità la linea del premier Matteo Renzisulla legge elettorale: avanti senza modifiche al testo.
Al momento del voto arrivato nella notte però, la minoranza non ha partecipato: su 310 componenti del gruppo, i sì sono stati 190. Il capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, esprimendo le ragioni del dissenso, ha rimesso il suo mandato. Gianni Cuperlo a quel punto ha proposto una sospensione della riunione, proposta che è stata messa ai voti e bocciata a maggioranza. Ora, dopo il 25 aprile, si andrà in aula.
Credo sia opportuno fare alcune considerazioni. E’ vero che questa legge elettorale recepisce alcune richieste avanzate dalla minoranza oltre un anno fa. E nessuno nega che una legeg elettorale vada approvata, e in fretta. Restano aperte però due questioni che non sono di lana caprina, più volte richiamate nella loro criticità anche da autorevoli giuristi e costituzionalisti di diverso orientamento.
Da un lato il fatto che avremo un Parlamento (tra Camera e Senato) composto per la maggioranza di “nominati” venendo meno a una delle raccomandazioni della Corte Costituzionale nella sentenza con cui ha bocciato il Porcellum.
Dall’altro l’assenza di apparentamento al ballottaggio che rischia concretamente di assegnare un premio di maggioranza smisurato e tale da invalidare il principio della rappresentatività (e anche su questo la Consulta ha speso parole chiare). Per fare un esempio, una forza che va al ballottaggio col 20% dei voti al primo turno potrebbe vincere il secondo turno e ottenere 35 punti di premio (in seggi), cosa che – come dicono esperti e studiosi – non esiste in alcuna democrazia.
Esistono anche altri aspetti critici ma basterebbe correggere queste due cose (aumentando il numero dei collegi e consentendo l’apparentamento) per ottenere questi risultati: si miglioreremmo la legge, allargheremmo il campo di forze che in Parlamento si schiererebbe a suo sostegno (coinvolgendo anche alcuni gruppi dell’opposizione), uniremmo tutto il Pd che oggi è diviso e accelereremmo il percorso delle altre riforme (superamento del bicameralismo e riforma del Titolo V).
L’alternativa qual è? Votare questa legge senza ritocco alcuno e praticamente da soli? Cioè con la sola maggioranza di governo (e neppure a ranghi completi), un dissenso evidente nel Pd e tutte (sottolineo, tutte) le opposizioni su una frontiera di critica aspra per il merito e il metodo. Ci conviene? Conviene al clima e alla qualità della nostra democrazia?
Si sente ripetere che toccare il testo attuale equivale a istradarlo su un binario morto. Ma perché mai? Si capirebbe questo argomento se le elezioni fossero alle porte, ma la legislatura scade nel 2018 e noi potremmo approvare la legge elettorale definitivamente entro alcuni mesi.
Accelerare e chiudere la pratica qui e ora (magari ponendo la questione di fiducia) sarebbe il contrario di ciò che abbiamo sempre detto, come Pd: che le regole si scrivono assieme e poi ci si divide sulla politica. In questo caso, invece, produrremmo una ferita destinata a durare nel tempo con l’effetto di avvelenare il clima dentro e fuori il Parlamento e di attivare nei partiti di opposizione uno spirito di rivalsa teso unicamente a “restituire” la forzatura alla prima occasione utile.
Si sprecano anche gli appelli alla disciplina di gruppo e di partito, ma perché contrapporre quel principio (che, per inciso, dovrebbe valere sempre e per tutti: per dire anche quando la maggioranza dell’epoca decise di votare Franco Marini presidente della Repubblica. O no?) alla necessità di discutere sino all’ultimo le regole fondamentali della rappresentanza, della Costituzione, della competizione per il governo, dei pesi e contrappesi fondamentali in una democrazia matura?
In modo serio c’è chi ha provato e sta provando a fare questo. E’ giusto? E’ sbagliato? Quello di cui sono convinto è che sia il modo più giusto e onesto per aiutare il partito a fare delle buone scelte. Se non sarà possibile bisognerà prenderne atto e ognuno si assumerà le sue responsabilità. Questi, amici e compagni, sono i fatti. Il resto sono solo parole.
Marco Travaglini
Sinistradem Piemonte