Cliccando qui un intervista televisia nel merito della lettera aperta presentata da Aldo Reschigna.
Già nelle settimane scorse, intervenendo al Congresso provinciale della CGIL, avevo avviato una riflessione sull’ampiezza della crisi che coinvolge il sistema produttivo del VCO e sul modo con il quale occorre, dal mio punto di vista, affrontarla.
È indubbio che la dimensione che sta assumendo la crisi nel VCO è rilevante; per alcuni aspetti, almeno sul piano quantitativo, è una crisi che assomiglia a quella che nella fine degli anni settanta ed all’inizio degli anni ottanta ha coinvolto il tessile, il siderurgico e la Montefibre di Verbania.
Da quella crisi si è usciti, parzialmente, con strumenti eccezionali e straordinari: i fondi dell’Unione Europea sulle aree di crisi siderurgiche e l’intervento straordinario della GEPI per Montefibre.
Vi è stato uno sforzo di elaborazione locale, valga per tutti, lo studio commissionato all’Università Bocconi dall’allora Provincia di Novara che ha fornito elementi su cui costruire un nuovo sviluppo economico del VCO.
Anche oggi abbiamo bisogno di idee su come impostare una nuova economia del VCO. Idee che non mancano e che oggi sono parte di un patrimonio ampio e condiviso: la ricerca con il Polo Innovativo sulle energie rinnovabili, la riappropriazione della ricchezza locale rappresentata dall’energia idroelettrica a servizio della nuova economia del VCO, il ruolo di Domo Due come asse centrale.
Quello che manca oggi, rispetto a quegli anni, è forse la consapevolezza della gravità della crisi che mette a repentaglio la sicurezza economica di moltissime famiglie.
Se prendiamo i dati delle singole aziende coinvolte, sono dati non eclatanti numericamente parlando (le più grandi superano di poco le cento unità): quello che invece è clamoroso è che la somma di tutte queste singole situazioni è vicina ai numeri della crisi degli anni settanta e ottanta.
E poi vi è il tessuto rappresentato dalle piccole aziende artigiane e industriali che non salgono nemmeno agli “onori della cronaca” ma che ogni giorno chiudono o fanno grande fatica a continuare.
Di fronte a questa situazione non basta più la puntuale presenza che esprime solidarietà o il tentativo che ogni giorno le istituzioni mettono in atto per trovare una soluzione. Non basta.
Ed oggi voglio dire che ho una consapevolezza: da soli non ce la facciamo. È troppo grande la crisi.
Senza interventi straordinari non riusciamo a salvare il salvabile e non riusciremo a far nascere qualcosa di nuovo che ridia sicurezza economiche alle persone coinvolte.
Ecco perché occorre aprire una vertenza VCO a livello nazionale, non per scaricare su qualcun altro le responsabilità ma solo per ottenere strumenti agevolativi che possano aiutare un nuovo sviluppo del nostro territorio.
In questi anni, le nostre vertenze, si sono fermate a Torino o presso la Provincia e Torino e la Provincia dovranno continuare ad esserci.
Non una vertenza è giunta alla dimensione nazionale: mentre altri territori lo hanno fatto.
Aprire una vertenza VCO significa riuscire anzitutto a trasferire i numeri complessivi dei posti di lavoro e delle aziende coinvolte (piccole, medie o piccolissime), significa riuscire a trasferire anche le idee locali, significa soprattutto porre la questione di quali strumenti sono necessari per realizzare quelle idee e quali risorse mettere in campo per mantenere le attività produttive o di attrarne di nuove.
Lancio questo messaggio con la consapevolezza che in questi tempi è in discussione il nostro futuro.
Aldo Reschigna
Consigliere regionale PD