Arriva in questi giorni nelle librerie il nuovo libro di Marco Travaglini, intitolato “Bruciami l’anima“. Il volume , con la prefazione di Donatella Sasso, storica dell’Istituto Salvemini di Torino ed esperta di Balcani, è edito da Impremix Edizioni Visualgrafika ( pag.221, Euro 18,00 ).
Un lavoro frutto di parecchi anni di viaggi, incontri, riflessioni. Il sottotitolo ( “Taccuino bosniaco” ) svela di cosa si tratta.
“Bruciami l’anima” è un taccuino di viaggio in un luogo speciale, straordinariamente unico. Disgraziato e meraviglioso come solo la Bosnia può esserlo. Un taccuino che esce a vent’anni dall’inizio della guerra in quell’angolo d’Europa. Una guerra che ha rappresentato l’evento più cruento del lungo processo disgregativo che ha messo fine alla Jugoslavia. Vent’anni fa tornavano nel cuore dell’Europa, a qualche chilometro da casa nostra, i campi di concentramento, gli assedi alle città, il genocidio e i profughi. Molte domande sollevate da quelle guerre sono rimaste aperte, e molte lezioni rimangono ancora da capire. Perché le guerre in ex-Jugoslavia non parlavano del loro passato nei Balcani ma del nostro futuro in Europa.
In questo taccuino l’autore ha raccolto sensazioni in forma di appunti e riflessioni. Vi ha fissato le immagini che gli sono rimaste impresse, le storie degli incontri, le riflessioni sue e i commenti di altri, ritagliandoli e incollandoli come si usa fare nei taccuini di viaggio.Della Bosnia , da Sarajevo a Mostar, ci si può innamorare in una maniera talmente forte e profonda che, come le acque verdi e indocili della Neretva, può risultare impetuosa e travolgente. Fino a bruciare l’anima, appunto. Per Travaglini è stato, ed è così.
“Non è stato facile scrivere storie dove la gioia e la bellezza di luoghi splendidi e di indimenticabili incontri si mescola al dolore e alla ferite lasciate dalla guerra. Per anni sono andato avanti a strappi, alternando le note scritte a lunghi spazi dove i fogli sono rimasti bianchi. Ho persino dubitato di portare a termine il progetto”, afferma Travaglini.
Poi la bosnite ha preso il sopravvento, rompendo ogni indugio, accantonando paure e riserve. E’ così che l’autore ha contratto la “bosnite”, vera e propria malattia dell’anima. Per dare l’idea di cosa sia, Travaglini cita spesso il giornalista triestino Paolo Rumiz, inviato di Repubblica. Perché lui? Le parole che seguono,“rubate” dalla sua introduzione a “Sarajevo, mon amour” , il libro di Jovan Divjak, il generale serbo che difese Sarajevo durante l’assedio, parlano da sole. “…Amo ancora quel luogo come se l’avessi lasciato ieri. Ci torno, e il tempo è come se non fosse passato.
Per me è tutto come allora, quando la vidi la prima volta sotto la Luna, sotto le ultime nevi dell’Igman.Era aprile, il fiume scrosciava nella gola, e i primi spari echeggiarono proprio mentre lei si svelava ai miei piedi, in fondovalle, luccicante, bella, inerme e indifendibile, città femmina, Grande Signora della notte, perfetto luogo-rifugio – Saraj, serraglio – che mi accoglieva. Dieci anni dopo, il secondo dei miei figli, scoprendo Sarajevo mi scrisse – di fronte a quella stessa favolosa visione – un breve messaggio: «Ecco, papà, ora capisco perché questo luogo ti portava via da me».
Che la Bosnia viva. Sempre”. Augurandosi che l’unica cosa che vi bruci d’ora in poi , sotto il suo cielo slavo del sud, siano le passioni .