La riforma che riguarda città metropolitane, province e unioni e fusioni dei comuni è una riforma semplice, ma soprattutto è reale. Nasce su alcuni principi base: condurre a due pilastri, regioni e comuni, le istituzioni locali a elezione diretta, dare il via alle città metropolitane attese da trent’anni, chiedere ai sindaci responsabilità che superino i campanili riorganizzandosi su aree vaste. Nello spirito della legge c’è, infatti, una profonda fiducia nella capacità delle comunità locali di pensarsi in un Paese unito, che sappia superare le difficoltà con coesione tra le comunità, che sappia vedere al di là di interessi specifici per abbracciare interessi collettivi: i comuni che si troveranno a lavorare insieme nelle province riformate o nelle unioni di comuni dovranno avere la capacità di pensarsi come attori dell’area vasta a cui appartengono. E’ un salto culturale al quale ci si prepara da decenni, di cui si sono scritte migliaia di parole. Adesso la legge c’è e continuare a discutere di come ognuno di noi la immaginasse più snella o migliore non ha molto senso. Adesso si deve passare ai fatti. Bisogna cogliere l’occasione che la riorganizzazione degli enti locali offre al territorio per mettere ordine fra le competenze e mostrare ai cittadini che la politica e gli amministratori si rimboccano le maniche per creare istituzioni efficienti ed efficaci. Altro punto stimolante è che per veder nascer tutto questo non bisognerà attendere anni ma prepararsi entro il 30 settembre: tre mesi d’intenso lavoro. L’obiettivo primario del riordino delle autonomie locali è dunque renderne trasparente l’assetto e più efficiente il loro funzionamento, in modo che siano chiare e riconoscibili ai cittadini le responsabilità delle singole amministrazioni e che queste possano svolgere al meglio i compiti loro affidati dalla Costituzione e dalla legge. Nel valutare la dimensione ottimale di associazione dei servizi, i sindaci dovrebbero porsi questa domanda: “Stiamo generando un sistema efficace per dare servizi pubblici? Stiamo attuando ogni iniziativa per semplificare la vita per imprese, famiglie e cittadini?”. Le istituzioni e la politica potranno riacquistare la fiducia del popolo italiano solo se contribuiranno a risolvere i problemi della vita quotidiana e non credo che questo si possa realizzare se si sfugge all’intento primario della riforma, se si dà origine a una frammentazione del territorio con unioni di comuni la cui dimensione si misura in appartenenza politica o salvaguardia di presunte “autonomie”. Invitiamo i sindaci a ridiscutere anche questo aspetto, per arrivare alla semplificazione del sistema non alla sua frammentazione. E’ il momento del coraggio, d’informare e sentire i propri cittadini anche su questioni che sembrano mettere in discussione le origini e le identità dei campanili, è il momento di verificare attraverso consultazioni popolari se le comunità locali sono disposte a modificare la dimensione del comune; il che non vuol dire perdere la propria storia, vuol dire iniziarne una nuova! Altro aspetto importante di discussione e caratterizzante la riforma è il superamento sostanziale delle province, e nella loro trasformazione in organi di secondo grado specificamente dedicati al coordinamento e supporto all’attività dei comuni. Le funzioni delle vecchie province sono attribuite in parte ai nuovi enti di area vasta, in parte alle regioni, con la relativa dotazione di risorse e personale. In attesa che il Parlamento affronti la modifica del Titolo V e la cancellazione delle provincie, la conseguenza più immediata è l’eliminazione di un livello politico e d’intermediazione amministrativa: i consigli provinciali e le nuove assemblee vengono, infatti, composti direttamente dai sindaci e dei consiglieri comunali dei comuni rappresentati. Sindaci e consiglieri per questo incarico non percepiscono compensi aggiuntivi. È il primo risparmio sensibile in un percorso che è anche orientato, come sta avvenendo in tutta la macchina pubblica, al recupero di risorse e al miglior utilizzo della spesa, ma che soprattutto vuole produrre semplificazione negli atti e nelle scelte, permettendo di dare risposte certe in tempi brevi riorganizzando i servizi. A questo proposito, di fondamentale importanza è la riorganizzazione territoriale degli enti periferici che deve avvenire come detto entro il 30 settembre. Si tratta di tracciare un percorso che garantisca la rappresentanza al territorio su due livelli. Un primo livello prettamente geografico: il nostro territorio tripolare portato avanti anche nell’esperienza della provincia del VCO deve trovare reale rappresentanza. Un secondo livello riguarda la dimensione demografica dei comuni: non si può pensare di rendere efficiente un sistema di coordinamento se non s’interpretano le diverse problematiche legate anche alle piccole realtà comunali. Bisogna garantire i piccoli e i grandi, dalla loro collaborazione effettiva si realizzerà lo spirito della riforma. Un ruolo fondamentale sarà quindi rivestito dai comuni, le cui funzioni amministrative, vecchie e nuove, rappresentano un elemento di forza e di coerenza con lo spirito costituzionale. Valorizzare le identità locali, attraverso la partecipazione in prima persona dei sindaci eletti, nelle scelte di programmazione dei territori, significa portare direttamente al cuore delle decisioni le istanze più concrete e reali delle comunità. Il processo di trasformazione a cui il Governo ha dato il via crea quindi le condizioni perché si possano ripensare i processi reali di funzionamento dei territori. Per questo, alle regioni sono stati volutamente lasciati ampi spazi per guidare i processi di riordino dell’assetto istituzionale o di ripensamento degli ambiti ottimali di gestione dei servizi, e per lo stesso motivo non si prevede più la coincidenza dell’organizzazione periferica dello Stato con il tessuto provinciale e si è data agli enti locali la possibilità di riconsiderare i distretti sociosanitari, le forme consortili tra comuni e tutti i livelli intermedi tra regioni e comuni. Dare vita concreta alla riforma, attuarne fino in fondo lo spirito potrà consentirci di rivendicare una specificità che la legge ci riconosce, la “montanità”, che rappresenta la nostra ostinazione a vivere in un territorio che richiede grandi costi di manutenzione e quindi una maggior efficienza a parità di risorse, dobbiamo dimostrare che abbiamo amministratori all’altezza di cogliere questa sfida. Antonella Trapani Segretario provinciale PD VCO