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Il Piemonte dice no a questo nucleare.

image La Regione è contraria alla possibilità di costruire in Piemonte una delle quattro centrali nucleari di terza generazione previste dall’accordo firmato tra i Governi italiano e francese.
Il nostro no al nucleare riguarda lo scenario economico, non solo quello ambientale.
Il Piemonte ha iniziato da qualche tempo un cammino nella direzione delle energie rinnovabili, investendo 300 milioni d’euro fino al 2013, producendo opportunità di lavoro e miglioramento della qualità del territorio. Il nostro Paese ha abbandonato il ricorso all’energia nucleare a seguito dei referendum del 1987, con conseguente cessazione dell’operatività delle centrali esistenti, tra cui quella di Trino Vercellese.
In tutti questi anni non è stato positivamente risolto il problema dello stoccaggio delle scorie, che sono per oltre i tre quarti oggi provvisoriamente ospitate presso il sito di Saluggia. Un sito inadeguato, con tutti i pericoli di contaminazione delle falde acquifere e la contiguità con un acquedotto che serve oltre 300 mila cittadini. Autorevoli pareri rilevano la scarsa rilevanza dell’apporto dell’energia nucleare al fabbisogno energetico italiano, stante che le 4 centrali di cui si parla sarebbero in grado di produrre circa la metà del 25% d’energia dichiarata dal Governo (con un costo di 25 miliardi d’euro) e che dunque non sarebbe intaccata in modo significativo la dipendenza energetica dall’estero.
Appare evidente quanto l’accordo costituisca un’opzione utile soprattutto agli interessi francesi, contribuendo ad ammortizzare i costi da loro sostenuti per lo sviluppo di una tecnologia che risulterà obsoleta al momento della sua realizzazione nel nostro Paese e che riporrà in modo ancor più consistente il problema dello smaltimento delle scorie. Tra l’altro la scelta di ritorno al nucleare appare antistorica, rispetto agli orientamenti degli altri paesi, in primo luogo degli Stati Uniti d’America, che più opportunamente basano le strategie di rilancio dell’economia sull’adozione di soluzioni energetiche rinnovabili.
Come si fa a non essere contrari a “questo” nucleare, inutile e costoso oltre che pericoloso? Siamo invece favorevoli alla ricerca per trovare altre forme d’energia nucleare meno a rischio e più convenienti. Addirittura come Regione Piemonte si sta pensando di iniziare una collaborazione con Rubbia. In più siamo convinti che l’ubriacatura mediatica sul nucleare svia l’attenzione dalle energie alternative rinnovabili che sono il futuro e in cui l’Italia rischia di rimanere al palo. Attualmente il Piemonte importa nove milioni d’euro di fonti fossili (l’Italia ne importa 70 milioni) e l’89% dell’energia che utilizza. Ogni miliardo che riusciremo a trasferire su fonti rinnovabili ci darà non solo energia pulita e un ambiente migliore, ma anche nuove opportunità di lavoro. Un progetto possibile se è condiviso da tutti.

Marco Travaglini, consigliere regionale Pd

Il patrimonio linguistico regionale e lo scivolone della Lega Nord

image Sarà che la coerenza non è più una virtù ma com’è possibile invocare il dialetto obbligatorio nelle scuole e bocciare le leggi che consentono l’insegnamento delle lingue regionali? 
l’incoerenza è quella della Lega Nord. La vicenda riguarda la legge regionale n.11 del 2009, proposta dal centrosinistra, ma votata anche dalla Lega e approvata dall’assemblea di Palazzo Lascaris lo scorso 7 aprile. Una norma dal titolo molto esplicito: «Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico del Piemonte».
Questa legge che prevede tra l’altro finanziamenti per l’insegnamento nelle scuole del piemontese insieme al walzer, all’occitano, al francese ed al franco-provenzale, è stata bocciata a giugno dal Consiglio dei ministri (con l’astensione dei rappresentanti del Carroccio) perché sospettata d’incostituzionalità.
La motivazione addotta dal Governo è una violazione dell’art. 6 della Costituzione secondo il quale “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”, dando solo al legislatore statale la titolarità del potere d’individuazione delle lingue minoritarie protette.
Una decisione incredibile che mette a nudo le contraddizioni di chi fa la voce grossa sui territori e poi, nelle stanze del governo, china la testa. Incredibile perché questa legge (dotata di un finanziamento di 2 milioni di euro, adesso inutilizzati) prevede tra le sue finalità “la conservazione e la valorizzazione delle tradizioni storico linguistiche con particolare riguardo alla toponomastica, al patrimonio artistico e religioso”. E dà facoltà agli enti locali di introdurre progressivamente accanto alla lingua italiana, l’uso della lingua piemontese e delle altre minoranze nei propri uffici e promuove l’insegnamento di queste lingue anche attraverso corsi di formazione e di aggiornamento degli insegnanti. Il paradosso è evidente: noi siamo favorevoli al fatto che queste lingue siano insegnate nelle scuole, come già succede, e finanziamo anche i corsi, come attività facoltativa, mentre loro fanno un sacco di chiacchiere ed al momento di decidere se la squagliano. Il Gruppo del PD in Consiglio regionale ha deciso di presentare una proposta di legge al Parlamento, della quale sono il primo firmatario, per chiedere che sia modificata la legge n. 482 del 1999, recante norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, inserendo il piemontese tra le minoranze linguistiche storiche, per motivi storici, letterari, socio-linguistici. Per chi non lo sapesse, i piemontesi rappresentano la prima minoranza linguistica della Repubblica Italiana. Pertanto, la tutela della lingua e dell’identità è un diritto non un favore che lo Stato concede. Se poi, con la nuova legge sul federalismo tutte le competenze sulla scuola arriveranno alle regioni, oltre a far conoscere il nostro patrimonio linguistico, renderemo obbligatorie due lingue straniere per i ragazzi piemontesi. Quelle che servono oggi. Per quanto riguarda il dialetto non s’impara a scuola, ma in famiglia e con gli amici. A scuola si possono studiare le nostre tradizioni, la nostra cultura, la nostra lingua: sempre che il governo non ci metta il becco.

Marco Travaglini, consigliere regionale