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Villa San Remigio: continua il balletto della Giunta regionale. Ora è di nuovo in vendita.

Quando finirà il balletto della Giunta regionale su villa San Remigio? Alcuni mesi fa la Giunta regionale inserì villa San Remigio nell’elenco dei beni immobili alienabili. Le numerose proteste a livello locale, e del sottoscritto a livello regionale, fecero tornare la Giunta regionale sui suoi passi tanto che, approvando la legge di bilancio per il 2012, villa San Remigio non compare nell’allegato C in cui sono compresi tutti i beni immobili regionali oggetto del piano di alienazione e valorizzazione.
In questi giorni è però in discussione il rendiconto dell’esercizio 2011. In uno degli allegati vengono riclassificati i beni immobili tra quelli considerati non cedibili e quelli oggetto di possibile cessione. In questo allegato San Remigio viene considerato bene disponibile, cioè cedibile.
E’ ammissibile che una Giunta cambi idea ogni tre mesi? Forse è più plausibile che la Giunta regionale intenda usare un documento poco comprensibile per tentare di nascondere decisioni da assumere senza dare troppa pubblicità.
Ricordo che l’offerta turistica del lago Maggiore è in gran parte fondata sul sistema dei parchi e dei giardini, e che solo immaginare di poter vendere villa San Remigio senza alcun confronto con la realtà locale significa non avere questa consapevolezza.
MI opporrò a questa idea e contro un modo di governare che a piè sospinto cambia decisione sullo stesso argomento.
Una dichiarazione di Aldo Reschigna, capogruppo Pd in consiglio regionale

Una Giunta regionale già traballante, che resta in bilico almeno fino al 2013, Cota pensi al Piemonte, si dimetta prima”

“Una Giunta regionale già traballante, che resta in bilico almeno fino al 2013, Cota pensi al Piemonte, si dimetta prima”: in estrema sintesi, così si esprimono, dopo la sentenza del Consiglio di Stato sulle elezioni regionali 2010, il segretario del Pd piemontese, Gianfranco Morgando, e il capogruppo in Regione, Aldo Reschigna.
“La sentenza del Consiglio di Stato – rimarcano i due dirigenti del Pd – esprime un elemento di novità e di chiarezza riconoscendo l’equivalenza tra processo penale e civile. In questo modo riconsegna al Tar del Piemonte la decisione sulla validità delle elezioni regionali del 2010, fornendogli anche una interpretazione in grado di far superare lo stallo”.
“La tempistica – aggiungono – non sembra essere in grado di garantire una sentenza definitiva nei prossimi mesi, sebbene sulla base del processo penale l’esito appaia prevedibile”. “Tutto ciò – osservano – porta alla Giunta Cota un elemento di forte instabilità, che potrebbe protrarsi per tutto il 2013.
Nella grave situazione che sta attraversando, il Piemonte non ha certo bisogno di un esecutivo già debole per i forti contrasti interni, reso ancora più fragile dalla spada di Damocle di un futuro pronunciamento amministrativo ad esso sfavorevole, e quindi più interessato alla prossima campagna elettorale che ad affrontare i problemi della Regione”. “Cota – concludono – prenda atto della situazione e per una volta si faccia davvero carico degli interessi del Piemonte, dimettendosi”.

PD VCO
Ufficio Stampa

Riordino degli enti locali: un passo avanti

Alcuni mesi fa, quando in prima Commissione fu avviata la discussione sul disegno di legge di riordino dei poteri locali, le posizioni della Giunta regionale e del Partito Democratico erano tra loro assolutamente distanti. Dopo un lungo e positivo confronto, le distanze si sono ampiamente accorciate.

Il gruppo PD su questo tema ha ricercato punti di convergenza i più ampi possibili, nella convinzione che quando si parla di riorganizzazione degli assetti istituzionali occorre promuovere riforme condivise, perché sono le uniche destinate a durare nel tempo. Questo paese e il sistema degli enti locali non possono più permettersi che a ogni cambio di maggioranza politica si disfi il lavoro fatto in precedenza.

I punti sostanziali su cui il ddl è stato profondamente modificato riguardano innanzitutto l’innalzamento a 40 mila abitanti della soglia minima nell’associazione dei Comuni per la gestione delle politiche sociali (prima erano 15 mila per i Comuni montani e collinari, 20 mila per quelli di pianura).

Il passaggio della Comunità montane all’Unione dei Comuni montani, poi, non viene più concepito come rottura con il passato con l’assegnazione all’Unione dei Comuni montani delle politiche per la montagna previste dall’articolo 44 della Costituzione e dalla legge regionale sulle Comunità montane.

Si è anche giunti alla definizione dei criteri per l’individuazione di ambiti territoriali ottimali all’interno dei quali i Comuni svolgono in modo associato le funzioni fondamentali o attraverso l’Unione dei Comuni per alcune, o attraverso la convenzione per altre; strumenti non più concepiti quindi come alternativi tra loro, ma che possono coesistere su funzioni diverse.

Il ddl andrà in aula a settembre, ma ci sono ancora alcuni punti che intendiamo migliorare, quali la salvaguardia dei Consorzi che gestiscono i servizi sociali, come peraltro ha recentemente fatto la Regione Veneto.

Ci auguriamo che i Comuni piemontesi costruiscano, nel rispetto della legge, soluzioni che consentano la difesa del valore dei municipi con gestioni associate forti, che restituiscano una organizzazione dei poteri più moderna, soprattutto in una regione come il Piemonte che conta 1206 Comuni. La gestione associata non deve essere concepita solamente come un obbligo di legge, ma come la condizione per mantenere un sistema dei servizi alle comunità locali.

Abbiamo altresì ottenuto che entro un anno vengano riviste tutte le leggi regionali che affidano funzioni amministrative a Comuni e Province, ispirandosi a due criteri fondamentali: il primo è che la Regione non può più gestire funzioni amministrative. Il secondo è che ogni funzione amministrativa deve essere affidata a un unico soggetto, che sia Comune o Provincia, evitando quanto è ancora recentemente avvenuto nella legge di riforma degli ATO, dove tutti fanno tutto con uno spreco di risorse e una complicazione per il cittadino.

Aldo Reschigna, Presidente Gruppo Regionale PD

Incompatibilità di Massimo Nobili. E le risposte?

Come al solito, la reazione del Presidente Nobili malcela la sua innata avversione a qualsiasi critica o richiesta di chiarimento riguardo al suo operato e ai suoi innumerevoli incarichi che come presidente di un’istituzione pubblica è tenuto a dare non tanto in risposta ad un partito politico o ad un consigliere regionale o provinciale, ma ai cittadini che hanno tutto il diritto di avere  la massima trasparenza  possibile .
Ricordiamo che è, non solo un diritto, ma anche un dovere di una forza politica rivolgere a chi ha ruoli pubblici domande anche scomode, come già abbiamo fatto a suo tempo.
Non è, quindi, la prima volta che il Presidente a richieste chiare e precise risponde in modo evasivo e contrattaccando come se la logica fosse: “ v isto che nessuno è senza peccato, siamo tutti innocenti”. Lasciamo che siano i cittadini a giudicare.
Nel frattempo, condividiamo pienamente l’azione del consigliere Aldo Reschigna e ribadiamo che esistono, prima ancora che ragioni di incompatibilità, evidenti ragioni di inopportunità politica nella nomina di Nobili nel cda del COQ, così come sull’indennità percepita dal nuovo incarico visto la compatibilità con i limiti di retribuzione previsti dall’Asl in applicazione del decreto legislativo.
Siccome il Pd non ha scheletri nell’armadio, ciò ci consente di continuare ad essere uomini liberi.

Pd Vco
ufficio stampa

PROVINCIA: SI ORGANIZZI UN MOMENTO DI CONFRONTO

E’ di martedì la presa di posizione netta del Presidente della provincia Nobili, nonché Presidente dell’Upi Regione Piemonte, sulla concreta possibilità di autoriforma delle province che porterebbe la nostra ad unirsi con quella di Biella, Vercelli e Novara.
Già nell’agosto scorso, personalmente, ho sostenuto che quando si parla di riforme tutte le ipotesi hanno una loro legittimità e che bisognava ragionare su tutti gli scenari, anche sulla possibilità che questa provincia cambiasse la sua delimitazione geografica. Nel contempo sostenni la necessità di avviare fin da subito una riflessione istituzionale che ci vedesse coprotagonisti del cambiamento, non solo come forze politiche ma come comunità territoriale. Oggi si profila non solo la modifica dei confini ma la natura dell’ente stesso. Mi trovo personalmente d’accordo con il Consigliere regionale Reschigna quando sostiene che un ente di questa grandezza non può essere governato come ente di secondo grado, ma che deve rimanere espressione diretta dei cittadini attraverso libere elezioni.
Questa prospettiva deve essere un punto di partenza e non di arrivo.
A partire da oggi, tutti insieme dobbiamo lavorare per fare in modo che i cittadini di questo territorio non vengano penalizzati da questa unificazione, ma che ne possano trarre benefici sia in termini di risparmi di spesa che di ottimizzazione dei servizi offerti.
Credo che le preoccupazioni manifestate da quasi tutte le categorie economiche e sindacali del Vco ieri in conferenza stampa, siano fondate e per questo vadano approfondite.
Il Presidente Cattaneo ha lanciato l’ipotesi di un polo del Welfare per il Vco anche questa è un ipotesi che va approfondita e discussa insieme.
Stiamo vivendo un momento di cambiamento, non permettiamo che lo sia solo a parole. Ogni processo di trasformazione comporta discontinuità che raramente avviene in modo indolore. Questo territorio deve cogliere l’occasione per darsi un nuovo slancio.

Abbiamo, tuttavia, una responsabilità che non è e non può essere solo locale. Abbiamo il dovere come cittadini italiani e piemontesi anche di comprendere il difficile momento che stiamo attraversando e non dobbiamo assolutamente perdere d’occhio l’interesse generale che è e deve essere quello di un profondo processo di riforma del nostro paese al fine di renderlo più agile e in linea con quello che dovranno essere le sfide del futuro. Tutta l’architettura istituzionale ne sarà coinvolta: dal piccolo comune, alla metropoli fino al Parlamento, attraverso tutti gli enti intermedi.
L’assetto organizzativo che ci siamo dati anni fa, deve essere sottoposto a un completo e profondo check-up. Dobbiamo, in sintesi, verificare ciò che effettivamente è indispensabile che rimanga sul territorio e ciò che, invece, non lo è. Insomma, non possiamo difendere tutto a prescindere: non si riforma uno stato e un territorio se partiamo da questo presupposto. Il centro della discussione deve essere il cittadino e su di lui costruire un sistema che garantisca il massimo e il migliore dei servizi.
Capisco che questo può comportare anche la messa in discussione dei luoghi di lavoro di impiegati e operatori, come mette in discussione anche l’esistenza di federazioni provinciali politiche, sindacali, di categoria e per questo dobbiamo ragionare con calma e sangue freddo perché ne saremo tutti coinvolti.
Sappiamo fin d’ora che, legittimamente, tutti quando sono messi in discussione affermano la propria indispensabilità. Lo abbiamo già più volte visto e lo vedremo certamente anche in futuro. E’ doveroso che le categorie sindacali sottolineino queste preoccupazioni, ma la politica ha l’obbligo di costruire il futuro, diversamente perderebbe la visione complessiva e farebbe, come a volte ha fatto, un danno.
Per questo propongo al Presidente della Provincia di organizzare in tempi brevi un momento di riflessione e di studio, magari in più incontri, con tutti gli attori di questa provincia e con i suoi cittadini in modo da capire quello che è indispensabile mantenere sul territorio e quello che può essere accorpato.
Non sono una tuttologa, né possiedo la sfera di cristallo per vedere il futuro. Sono abituata per formazione a recepire i dati, a elaborare i problemi, a condividere proposte e poi ad individuare le possibili soluzioni. Credo che questo metodo debba essere fatto nostro.
Abbiamo perso un anno, nel frattempo molto è successo ed è ora che questa provincia discuta seriamente delle scelte future perché si tratta dell’eredità dei nostri figli, del loro futuro.

Antonella Trapani
Segretaria Pd Vco

La Carta delle Autonomie: convegno a Verbania il 28 maggio

La Carta delle Autonomie, verso un nuovo assetto degli enti locali: è questo il titolo dell’incontro pubblico organizzato dal Partito democratico del VCO per lunedì 28 maggio alle ore 20.45 presso la sala Rosmini al “Il Chiostro” di Verbania. Potete scaricare cliccando qui il PDF dell’incontro.
Un  confronto sul tema della riforma degli enti locali con le forze del territorio al quale interverrà il senatore Mauro Marino componente della Commissione Affari Costituzionali del Senato. Saranno presenti Antonella Trapani segretario provinciale PD, Enrico Borghi vicepresidente ANCI, Giuseppe Grieco capogruppo provinciale PD, Aldo Reschigna capogruppo regionale PD.

Info: Carta delle autonomie: il senato ha ripreso l’esame della riforma

La Commissione affari costituzionali del Senato ha ripreso, l’11 aprile scorso, l’esame del disegno di legge “Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell’ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati” già approvato dalla Camera dei deputati il 30 giugno 2010.

L’esame del testo di riforma della Carta delle Autonomie si era poi arenato per lungo tempo.

Riprende finalmente il suo iter con la presentazione di un testo organico di emendamenti al disegno di legge esitato dalla Camera da parte dei due relatori della Commissione, senatori Enzo Bianco (PD) e Andrea Pastore (PDL).

Gli emendamenti riguardano in particolare l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città Metropolitane.

Vediamo i punti principali.

FUNZIONI DEI COMUNI

Le funzioni fondamentali dei comuni sono:

a) organizzazione generale dell’amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo;

b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di competenza comunale ivi compresi i servizi di trasporto pubblico;

c) coordinamento delle attività commerciali e dei pubblici esercizi, in coerenza con la programmazione regionale;

d) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;

e) gestione dell’ambiente e del territorio, ivi compresa la pianificazione urbanistica ed edilizia, nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;

f) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi;

g) costruzione, gestione e manutenzione delle strade comunali, regolazione della circolazione stradale urbana e rurale;

h) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

i) edilizia scolastica, organizzazione e gestione dei servizi scolastici;

j) gestione dei beni e dei servizi culturali di cui il comune abbia la titolarità;

k) gestione dei beni demaniali e patrimoniali dell’ente;

l) promozione delle garanzie di accesso ai servizi pubblici e privati;

m) polizia municipale e polizia amministrativa locale;

n) tenuta dei registri dello stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali e statistici, nell’esercizio delle funzioni di competenza statale.

 FUNZIONI DELLE PROVINCE

Le funzioni fondamentali delle province quali enti con funzioni di area vasta sono:

a) tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza, ivi compresa la tutela e la gestione del patrimonio ittico e venatorio;

b) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché, nell’ambito dei piani nazionale e regionali di protezione civile, attività di previsione, prevenzione e pianificazione d’emergenza in materia;

c) pianificazione dei trasporti e dei bacini di traffico e programmazione dei servizi di trasporto pubblico locale, nonché funzioni di autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato in ambito provinciale, in coerenza con la programmazione regionale;

d) costruzione, classificazione, gestione e manutenzione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

e) previsione, prevenzione e pianificazione d’emergenza in materia di protezione civile nell’ambito dei piani nazionali e regionali;

f) cooperazione, anche mediante supporto tecnico-amministrativo, in favore dei comuni.

DIVIETO DI ATTRIBUZIONE DELLE FUNZIONI AD ALTRI ENTI

Le funzioni fondamentali e le funzioni amministrative conferite ai comuni, alle province e alla città metropolitane non possono essere attribuite ed esercitate ad enti, società o agenzie statali, regionali e di enti locali.

L’esercizio delle funzioni fondamentali è obbligatorio per l’ente titolare.

OBBLIGO DI ESERCITARE LE FUNZIONI IN FORMA ASSOCIATA

Le funzioni fondamentali dei comuni sono obbligatoriamente esercitate in forma associata da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti qualora appartengano o siano appartenuti a comunità montane.

Le province con popolazione inferiore a 300.000 abitanti, e nelle zone prevalentemente montane con popolazione inferiore a 200.000 abitanti, esercitano obbligatoriamente in forma associata tramite convenzione con una o più province limitrofe della medesima Regione e anche se di popolazione superiore le funzioni fondamentali attribuite.

 DELEGA AL GOVERNO

Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi, uno o più decreti legislativi, aventi ad oggetto:

a) l’individuazione e il trasferimento delle restanti funzioni amministrative esercitate dallo Stato o da enti pubblici nazionali che sono attribuite, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, a comuni, province, città metropolitane e regioni;

b) l’eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali attraverso il trasferimento, la riallocazione o l’unificazione delle funzioni e delle strutture esistenti ad un unico livello di governo sulla base di criteri di economicità, omogeneità, complementarietà e organicità;

c) l’individuazione delle funzioni che rimangono attribuite allo Stato.

Nell’esercizio della delega, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) conferire, ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, al livello diverso da quello comunale soltanto le funzioni di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, anche in considerazione del numero degli abitanti e della natura montana o isolana dell’ente;

b) conferire alle province esclusivamente funzioni di area vasta;

c) prevedere che tutte le funzioni amministrative residuali siano di competenza del comune;

d) favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, ai sensi dell’articolo 118, quarto comma, della Costituzione.

Le regioni, sulla base di accordi stipulati in sede di Consiglio delle autonomie locali o in altra sede di concertazione prevista dai rispettivi ordinamenti:

a) conferiscono le funzioni amministrative e le relative risorse umane, finanziarie e strumentali in modo organico a comuni, province e città metropolitane al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze;

b) conferiscono agli enti locali, nelle materie di propria competenza legislativa, ai sensi dell’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, le funzioni ad esse trasferite dallo Stato che non richiedono di essere esercitate unitariamente a livello regionale in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione;

c) conferiscono agli enti locali le funzioni amministrative esercitate dalla regione, che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale;

d) conferiscono alle province, in particolare, esclusivamente funzioni di area vasta;

SOPPRESSIONE ENTI

Anche ai fini del coordinamento della finanza pubblica, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione, lo Stato e le Regioni, nell’ambito della rispettiva competenza legislativa, provvedono all’accorpamento o alla soppressione degli enti, agenzie od organismi, comunque denominati, non espressamente ritenuti come necessari all’adempimento delle funzioni istituzionali, e alla unificazione di quelli che esercitano funzioni che si prestano ad essere meglio esercitate in forma unitaria.

Lo Stato e le Regioni provvedono altresì ad individuare le funzioni degli enti agenzie od organismi in tutto o in parte coincidenti con quelle assegnate agli enti territoriali, riallocando contestualmente le stesse agli enti locali, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

 TERZO MANDATO PER I SINDACI DEI PICCOLI COMUNI

Viene prevista la possibilità di tre mandati consecutivi, anziché due per chi ha ricoperto la carica di sindaco di comune con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

RIFORMA DELLE PROVINCE

Le Province vengono espressamente individuate come enti con funzioni esclusivamente di area vasta.

Rispetto alle funzioni fondamentali già individuate dall’art. 21 della Legge delega sul federalismo fiscale (Legge 42/2009) non vengono più ribadite le funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica e le funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro, che per loro natura richiederebbero una gestione a livello sovracomunale.

Rispetto alla riforma Monti, che assegnerebbe alle Province “esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale” è evidente che il testo proposto appare molto più aderente alle previsioni del titolo V della Costituzione.

Per questo si prevede l’abrogazione delle norme contenute nel decreto “Salva Italia”, relative allo svuotamento delle funzioni attribuite alle Province (commi 14, 18, 19 e 21 dell’articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214).

Certamente apprezzabili le disposizioni che impongono che le funzioni fondamentali e le funzioni amministrative conferite ai comuni, alle province e alla città metropolitane non possono essere attribuite ed esercitate ad enti, società o agenzie statali, regionali e di enti locali nonché la soppressione di enti ed organismi vari che oggi svolgono in tutto o in parte dette funzioni.

Nulla viene detto sul sistema elettorale per le Province.

Si rinvia evidentemente all’esame del testo del disegno di legge approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri del 6 aprile 2012, su proposta del Ministro dell’Interno, che disciplina le modalità di elezione di secondo grado dei Consigli provinciali e dei Presidenti della Provincia.

Tale disegno di legge prevede un nuovo “modello elettorale provinciale” di tipo proporzionale, fra liste concorrenti, senza la previsione di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza così caratterizzato:

a. elezione contestuale del Consiglio provinciale e del suo Presidente;

b. elettorato passivo riservato ai Sindaci e consiglieri in carica al momento della presentazione delle liste e della proclamazione;

c. ciascuna candidatura alla carica di Presidente della Provincia è collegata a una lista di candidati al Consiglio provinciale;

d. i votanti possono esprimere fino a due preferenze: se decidono di esprimere la seconda preferenza, una delle due deve riguardare un candidato del Comune capoluogo o di sesso diverso da quello a cui è destinata la prima preferenza;

e. è proclamato Presidente della Provincia il candidato che ottiene il maggior numero di voti. In caso di parità si prevede il ballottaggio. In caso di ulteriore parità è eletto il più anziano d’età;

f. Le cariche di Presidente e Consigliere provinciale sono compatibili con quelle di Sindaco e Consigliere comunale;

g. È vietato il cumulo degli emolumenti.

Rinviamo ai precedenti interventi sull’argomento le valutazioni fortemente critiche su tale proposto di riforma.

Richiamiamo soltanto alcuni passaggi del parere dell’UPI, che ci appaiono pienamente condivisibili, espresso in Conferenza Unificata il 4 aprile 2012:

“Il sistema elettorale rappresenta il cuore del legame tra le istituzioni territoriali e le loro comunità. Nel nostro sistema costituzionale le leggi elettorali sono rimesse alla legislazione ordinaria ai fine di consentire la possibilità di adeguamenti nel tempo che tengano conto dell’evoluzione democratica del Paese. Ma è un dato certo che la democrazia locale è l’espressione, la più alta, dell’autonomia dell’ente che è stata riconosciuta a più riprese dalla Costituzione e dalla Carta europea delle autonomie locali.

Il principio autonomista implica il principio democratico e ciò richiede che il popolo deve avere una rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete e che la rappresentanza abbia una consistenza tale da conseguire due risultati: in primo luogo, l’espressione del pluralismo politico, compatibilmente con la governabilità; in secondo luogo, la capacità di indirizzo e controllo da parte della rappresentanza medesima sull’ente.

La scelta di eleggere i consigli provinciali attraverso un elezione di secondo grado, come organi di espressione degli amministratori comunali, priva i cittadini del territorio provinciale del diritto di eleggere e controllare direttamente un ente peraltro previsto dalla Costituzione come elemento costitutivo della Repubblica.

Per questi motivi, l’UPI ribadisce la necessita di prevedere comunque una elezione diretta degli organi di governo della Provincia, che hanno la funzione di rappresentare comunità provinciale nel Paese.

La soluzione adottata nel ddl al contrario non riesce a dare una risposta equilibrata alle esigenze di rappresentanza di tutto il territorio provinciale che oggi hanno un punto di riferimento nel sistema elettorale provinciale basato su collegi territoriali, né riesce a tenere conto in modo adeguato della rappresentanza delle diverse forze politiche nei territori e dei necessari equilibri fra maggioranze e minoranze”.

La discussione avviata in Parlamento è auspicabile in ogni caso che riesca a superare e modificare radicalmente i contenuti di un provvedimento affrettato, confuso, dettato esclusivamente dalla necessità di offrire al dibattito mediatico quel “taglio” tanto invocato, ma purtroppo altrettanto poco ponderato, da chi, cavalcando le indubbie e gravissime difficoltà del nostro sistema politico ed economico, propone soluzioni devastanti per l’intero assetto costituzionale dello Stato ed in particolare per le Autonomie Locali, che andrebbero al contrario rafforzate e tutelate nell’erogazione dei servizi essenziali, in quanto oggi, molto più che il ritorno al centralismo, da sole possono riuscire a tentare di interpretare e gestire le aspettative e i bisogni dei cittadini.

Qui il testo del disegno di legge

Qui gli emendamenti presentati