Continua la rassegna di incontri legata alla campagna del circolo PD “A Verbania facciamo il punto. Anzi 6”
Il tema della prossima serata, lunedì 18 maggio alle ore 20.45 (presso la Società Operaia di Intra – Via De Bonis 36), sarà l’urbanistica come strumento per il rilancio del “fronte lago”.
Analisi di politiche urbanistiche europee calate nel nostro territorio, progettate su una visione intercomunale. Un’intera città, a forma di Y, dal Verbano al Cusio: la Città dei laghi.
Interverranno:
– Prof. Giuseppe Grieco, ex vicesindaco di Verbania e membro segreteria PD.
– Ing.re Stefano Rondo, esperto di progettazione sostenibile e smart city.
– Ing.re Pietro Agnelli, responsabile di un progetto di rigenerazione urbana nel quartiere di Lambrate.
Modererà la serata il capogruppo PD Verbania Davide Lo Duca. Durante la serata interverranno il Sindaco Silvia Marchionini e il segretario del PD Riccardo Brezza.
Vi aspettiamo lunedì 18 maggio alle 20.45 presso la Società Operaia di Verbania-Intra in Via De Bonis 36.
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Accesso al credito: incontro pubblico ad Omegna
Il Partito Democratico Circolo di Omegna Cusio, in collaborazione con ADESSO NCS Omegna, presenta l’incontro pubblico sul tema: “Dialogo per l’accesso al credito“, che si svolgerà giovedì 7 maggio alle ore 21.00 presso la palazzina Liberty (ex Biblioteca) area Forum Omegna.
Interverranno:
Riccardo De Maglianis (Area Manager UNICREDIT BANCA)
Marco Bunelli (Responsabile UNIONFIDI per il VCO)
Omar Bargiga (Rappresentante C.N.A. Piemonte Nord)
Mario Cavigioli (IMPRENDITORE e CONSULENTE Aziendale)
In discussione la sfida di costruire assieme la mappa di un dialogo proficuo sul tema del credito, vero tallone d’achille per la ripartenza del sistema economico in Italia e nel nostro territorio.
Tutti i cittadini , gli imprenditori, le categorie economiche e sociali sono invitate a partecipare.
www.pluraledemocratico.com
25 Aprile: ricordare la storia per costruire il futuro
Per ricordare, domani, il 70° anniversario della Liberazione, a Verbania la commemorazione ufficiale sarà tenuta dal sindaco, Silvia Marchionini. Interverrà alla cerimonia davanti al monumento ai caduti sul lungolago di Intra al termine del corteo che partirà dalla basilica di San Vittore. Alle 15, visita guidata al Parco della memoria e della pace di Fondotoce. Stasera alle 21 fiaccolata da piazza Cavour al vecchio imbarcadero, poi spettacolo del Coro Volante Cucciolo.
A Omegna l’appuntamento è alle 9,45 in piazza Beltrami per il corteo verso piazza Martiri: qui parlerà Michele Beltrami, figlio del capitano Filippo Beltrami, uno dei capi carismatici della Resistenza. Oggi alle 21 in biblioteca verrà inaugurata una sezione dedicata alla Resistenza.
Sarà l’assessore regionale ai Trasporti, Francesco Balocco, a intervenire a Domodossola dove alle 10,30 in piazza Matteotti verrà reso omaggio ai caduti.
Alle 14,30 a Varzo, sul piazzale della stazione, lo storico Pierantonio Ragozza ricostruirà gli avvenimenti che portarono al salvataggio della Galleria del Sempione che i tedeschi volevano far saltare. Sono previste testimonianze di ex-partigiani.
Interverrà il vicepresidente della Regione, Aldo Reschigna. Al cimitero di Cannero Riviera alle 11,30 sarà ricordato il capitano Nico Lazzaro, comandante partigiano che guidò la liberazione di Cannobio e fu ucciso dai tedeschi, quando ormai la guerra stava per finire, mentre era di ritorno da una visita alla madre.
Tra le diverse iniziative promosse dall’Anpi alle 15,30 è in programma, nella sala comunale «Pietro Carmine», lo spettacolo narrativo-musicale della Brigata Puglisi «La Repubblica dell’utopia». Dalle 14,30 è aperta la mostra «Le donne della Resistenza» allestita nella casa parrocchiale. Sempre da Cannero parte la mostra itinerante «Alto Verbano Culla della Libertà». Questa sera alle 21 nella sala «Pietro Carmine» spettacolo di «Musica resistente» a cura dei Folkamiseria.
Da La Stampa di oggi
M20 il codice per sostenere il Pd nella dichiarazione dei redditi
“M20 colpito e affondato finanziamento pubblico! Ecco il codice 2×1000 per sostenere @pdnetwork. Scrivilo in dichiarazione non ti costa nulla”.
Così, il tesoriere del PD Francesco Bonifazi ha comunicato su twitter il codice necessario a destinare, in forma volontaria e trasparente, il 2×1000 della dichiarazione dei redditi al PD.
Infatti con l’abolizione del finanziamento pubblico ora la possibilità di sostenere i partiti è affidata alla scelta dei singoli cittadini.
Ovviamente (come per il 5 e l’8 per mille) non ha un costo per i cittadini.
Invitiamo tutti gli iscritti e i simpatizzanti, nel momento della compilazione della dichiarazione dei redditi, a compiere un gesto per aiutare il PD a costruire le politiche per cambiare questo paese, scrivendo il codice M20 nell’apposito spazio presente sui moduli della dichiarazione.
La legge elettorale e noi
L’assemblea del gruppo Pd alla Camera ha approvato all’unanimità la linea del premier Matteo Renzisulla legge elettorale: avanti senza modifiche al testo.
Al momento del voto arrivato nella notte però, la minoranza non ha partecipato: su 310 componenti del gruppo, i sì sono stati 190. Il capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, esprimendo le ragioni del dissenso, ha rimesso il suo mandato. Gianni Cuperlo a quel punto ha proposto una sospensione della riunione, proposta che è stata messa ai voti e bocciata a maggioranza. Ora, dopo il 25 aprile, si andrà in aula.
Credo sia opportuno fare alcune considerazioni. E’ vero che questa legge elettorale recepisce alcune richieste avanzate dalla minoranza oltre un anno fa. E nessuno nega che una legeg elettorale vada approvata, e in fretta. Restano aperte però due questioni che non sono di lana caprina, più volte richiamate nella loro criticità anche da autorevoli giuristi e costituzionalisti di diverso orientamento.
Da un lato il fatto che avremo un Parlamento (tra Camera e Senato) composto per la maggioranza di “nominati” venendo meno a una delle raccomandazioni della Corte Costituzionale nella sentenza con cui ha bocciato il Porcellum.
Dall’altro l’assenza di apparentamento al ballottaggio che rischia concretamente di assegnare un premio di maggioranza smisurato e tale da invalidare il principio della rappresentatività (e anche su questo la Consulta ha speso parole chiare). Per fare un esempio, una forza che va al ballottaggio col 20% dei voti al primo turno potrebbe vincere il secondo turno e ottenere 35 punti di premio (in seggi), cosa che – come dicono esperti e studiosi – non esiste in alcuna democrazia.
Esistono anche altri aspetti critici ma basterebbe correggere queste due cose (aumentando il numero dei collegi e consentendo l’apparentamento) per ottenere questi risultati: si miglioreremmo la legge, allargheremmo il campo di forze che in Parlamento si schiererebbe a suo sostegno (coinvolgendo anche alcuni gruppi dell’opposizione), uniremmo tutto il Pd che oggi è diviso e accelereremmo il percorso delle altre riforme (superamento del bicameralismo e riforma del Titolo V).
L’alternativa qual è? Votare questa legge senza ritocco alcuno e praticamente da soli? Cioè con la sola maggioranza di governo (e neppure a ranghi completi), un dissenso evidente nel Pd e tutte (sottolineo, tutte) le opposizioni su una frontiera di critica aspra per il merito e il metodo. Ci conviene? Conviene al clima e alla qualità della nostra democrazia?
Si sente ripetere che toccare il testo attuale equivale a istradarlo su un binario morto. Ma perché mai? Si capirebbe questo argomento se le elezioni fossero alle porte, ma la legislatura scade nel 2018 e noi potremmo approvare la legge elettorale definitivamente entro alcuni mesi.
Accelerare e chiudere la pratica qui e ora (magari ponendo la questione di fiducia) sarebbe il contrario di ciò che abbiamo sempre detto, come Pd: che le regole si scrivono assieme e poi ci si divide sulla politica. In questo caso, invece, produrremmo una ferita destinata a durare nel tempo con l’effetto di avvelenare il clima dentro e fuori il Parlamento e di attivare nei partiti di opposizione uno spirito di rivalsa teso unicamente a “restituire” la forzatura alla prima occasione utile.
Si sprecano anche gli appelli alla disciplina di gruppo e di partito, ma perché contrapporre quel principio (che, per inciso, dovrebbe valere sempre e per tutti: per dire anche quando la maggioranza dell’epoca decise di votare Franco Marini presidente della Repubblica. O no?) alla necessità di discutere sino all’ultimo le regole fondamentali della rappresentanza, della Costituzione, della competizione per il governo, dei pesi e contrappesi fondamentali in una democrazia matura?
In modo serio c’è chi ha provato e sta provando a fare questo. E’ giusto? E’ sbagliato? Quello di cui sono convinto è che sia il modo più giusto e onesto per aiutare il partito a fare delle buone scelte. Se non sarà possibile bisognerà prenderne atto e ognuno si assumerà le sue responsabilità. Questi, amici e compagni, sono i fatti. Il resto sono solo parole.
Marco Travaglini
Sinistradem Piemonte
Riflessioni sulla forma partito: un contributo di Enrico Borghi
La discussione che si è aperta nel Pd sulla legge elettorale, a seguito della accelerazione imposta dal segretario, rischia di scontare un tasso di strumentalismo talmente elevato da non far cogliere il
punto vero in campo, che è quello delicatissimo del futuro della democrazia italiana.
Vi è fra di noi chi attribuisce alla riforma elettorale un compito quasi palingenetico. In realtà, occorrerebbe ritornare al concetto di “funzionalità” della legge elettorale, lo stesso concetto che indusse il costituente nel 1946 a non inserire nella carta fondamentale il sistema elettorale proporzionale allora in uso.
La legge elettorale, in altri termini, è lo strumento funzionale all’articolazione di due essenziali perni della democrazia: la rappresentanza e la governabilità.
Spetta a chi ha il compito della sovranità popolare, e cioè al Parlamento, articolare in rapporto ai momenti storici tale strumento, lungo l’asse che lega queste due polarità.
Per evidenti motivi di carattere storico, l’immediato dopoguerra vide il pendolo oscillare in direzione della rappresentanza, ma fu lo stesso De Gasperi ad avvedersi dei limiti strutturali di un meccanismo elettorale che -tutto fondato sulla logica coalizionale e sulla assoluta proporzionalitàrendeva il governo prigioniero del frazionamento della propria base parlamentare.
La risposta di De Gasperi, ovvero una correzione maggioritaria che riposizionasse l’asse della democrazia più a favore della governabilità, fu la cosiddetta “legge truffa” che nel 1953 non scattò per poco, e che venne immediatamente rimessa nei cassetti insieme con l’oblio del leader democristiano, aprendo la strada alla democrazia dei partiti e poi al consociativismo che tanto peso ha avuto nella storia d’Italia e nelle sue dinamiche sociali, istituzionali ed economiche.
Il tema venne poi ripreso nel crepuscolo finale della Prima Repubblica, con l’incidere tumultuoso dei referendum Segni che portarono a far accettare il maggioritario a furor di popolo ad una classe politica ontologicamente proporzionalista, dentro la logica del “Mattarellum” che coniugava governabilità con rappresentanza mediante un mix adeguato di collegi uninominali maggioritari e di riserva per il cosiddetto “diritto di tribuna” anche alle forze minori.
Il “Porcellum” del 2005 riuscì a far scadere all’indietro complessivamente gli equilibri, riuscendo nel raro esercizio di non assicurare la governabilità andando contemporaneamente scapito della rappresentanza, oltre che della libera scelta degli eletti da parte degli elettori.
E quindi siamo arrivati all’oggi.
Dentro la compressione del pendolo tra rappresentanza e governabilità, una cosa sfugge e a mio avviso risulta essere essenziale.
Nella cosiddetta Prima Repubblica, non era il meccanismo della legge elettorale ad assicurare l’equilibrio politico e la qualità della democrazia. Ma era la modalità con la quale la democrazia si organizzava nelle sue forme rappresentative, e cioè i partiti.
I partiti, in altri termini, erano una sorta di “terreno trascendente” nel quale si collocavano le logiche della rappresentanza, dello scontro, della sintesi e della mediazione che solo dopo si trasferivano sul piano istituzionale.
Per questo, i congressi di partito erano il luogo decisivo per la formazione delle scelte e delle classi dirigenti. Per questo, quando la Dc andava a congresso l’Italia si fermava una settimana.
Oggi non è più così. La stessa idea della democrazia rappresentativa è in crisi, anche a seguito della sclerotizzazione dei suoi processi di autoriforma che hanno determinato dapprima la nascita del partito-azienda e successivamente il prorompere del non-partito di Grillo fondato sul concetto del superamento della democrazia rappresentativa con la democrazia diretta, mediata esclusivamente dalle nuove tecnologie.
Per questo, il cuore del problema, e cioè il futuro della democrazia, della sua qualità, della sua espansione o regressione, non sta nella legge elettorale. Ma sta nella forma partito. E cioè in quale modo si intenda dare attuazione, dopo 70 anni, all’articolo 49 della Costituzione, e cioè stabilire come si possa concorrere nella società liquida e nell’era del potere cieco di mercati, della perdita della sovranità statuale e della crisi della rappresentanza alla determinazione della politica nazionale mediante l’associazione in partiti e l’utilizzo del metodo democratico.
Non è una domanda banale. Perchè non possiamo attribuire ad uno strumento funzionale, una legge elettorale, una risposta che è tutta e squisitamente di natura politica.
In altri termini, la qualità della nostra democrazia futura non sarà data dalla modalità di funzionamento di questa o quella legge elettorale, ma da come risponderemo a due domande fondamentali: ha ancora senso la democrazia rappresentativa? E se sì, come?
Renzi coglie, dentro la riforma dell’Italicum, l’antica suggestione ed esigenza degasperiana: la democrazia, per funzionare, ha bisogno di essere decidente.
E quindi il Parlamento deve essere luogo della decisione, oltre che della rappresentanza e della mediazione. Da qui la sua proposta, che può essere condivisibile o meno, ma che ha un impianto e una filosofia circolare, che si sposa con la riforma costituzionale in atto.
Serve a poco alimentare paure, o suggestioni di possibile regressione democratica. Non potrà mai esserci nessuna legge elettorale democratica che possa impedire ad un popolo di eleggersi un dittatore. Adolf Hitler non arrivò alla cancelleria annullando le elezioni politiche federali del 5 marzo 1933, ma vincendole trionfalmente giungendo primo in 33 su 35 circoscrizioni!
Il problema è il carattere della democrazia, il suo ethos, non lo strumento funzionale con il quale essa si esercita e si esplica.
Perchè noi potremmo anche trovare la legge elettorale sulla quale tutto il Pd, miracolosamente e improvvisamente, si compatta. Ma non potremmo poi sfuggire ad un altro bivio.
E cioè: come si selezionano le candidature? Dal basso o dall’alto? Con il partito delle primarie o il partito delle tessere? Con il condizionamento decisivo dei media (e di chi li controlla) o con l’inquinamento da parte delle logiche feudali con cui molti territori si sono riorganizzati?
E quali sono gli strumenti di garanzia, di controllo, di equilibrio all’interno di un partito, e dei partiti, in un’era nella quale il Pd è rimasto l’unico (l’ultimo?) partito con uno statuto democratico, una scalabilità, un radicamento territoriale, un presidio sull’intero territorio nazionale, una militanza reale e non artificiale.
Il partito politico per come lo abbiamo conosciuto, e cioè l’evoluzione del notabilato ottocentesco verso un soggetto in grado di assorbire dentro di sé la maggiore complessità sociale del corpo elettorale, e quindi fare dentro di sé la mediazione in grado di essere colta e accettata dalla società, non esiste più.
La “ditta” si è infranta su questi scogli.
E se vogliamo evitare che il tentativo, ormai sempre più evidente, di archiviare definitivamente la democrazia rappresentativa (portata avanti a colpi di maglio prima con le polemiche sulla Casta, poi sul finanziamento pubblico ai partiti e ora sulle varie questioni morali) riesca, sarà bene concentrarsi di più su questi aspetti, anziché sui tatticismi di una legge elettorale alla quale non possiamo attribuire il compito di sganciarci da responsabilità che sono solo nostre, visto che ci chiamiamo democratici.
Enrico Borghi