Dal primo gennaio 2015 i canoni annui di accesso alle strade Anas non saranno più dovuti. La commissione ambiente della Camera ha approvato l’emendamento presentato da Enrico Borghi.
Finalmente abbiamo risolto un’ingiustizia che va avanti dal 1998.
Abbiamo semplifcato le procedure, risolto un lunghissimo contenzioso con l’ANAS e dato certezza ai cittadini che risiedono lungo tali arterie (Val Divedro, Valle Vigezzo e Valle Antigorio Formazza, Alto Verbano per rimanere al VCO ) che da anni chiedevano di risolvere il problema.
Ecco il testo del comma 23 bis all’articolo della legge che disciplina gli accessi alle strade che ho proposto insieme ai colleghi De Menech e Miotto e che è stato approvato dalla commissione: “Per
gli accessi esistenti su strade in gestione di ANAS S.p.A. alla data del 31 dicembre 2014, già autorizzati dall’ANAS S.p.A. medesima, a decorrere dal 1o gennaio 2015 non è più dovuta alcuna
somma fno al rinnovo dell’autorizzazione”.
Per il contenzioso precedente tra proprietari e Anas, viene prevista la riduzione del 70 per cento delle somme dovute ad Anas ma non corrisposte.
Ora ci auguriamo che la commissione Bilancio della Camera dia il suo via libera alle modifche.
On. Enrico Borghi
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La Regione garantirà i collegamenti Domo-Briga
«I collegamenti ferroviari con la Svizzera non saranno interrotti». E’ quanto assicura, a proposito dei treni utilizzati dai lavoratori frontalieri tra Domodossola e Briga, l’assessore regionale ai Trasporti Francesco Balocco nel corso di un incontro che si è svolto a Domodossola e che ha visto la partecipazione
dei rappresentanti del Canton Vallese e del sindaco Mariano Cattrini.
La sopravvivenza del servizio è da tempo messa in discussione dal mancato arrivo dei fondi statali. Tuttavia, Balocco garantisce: «Di fronte al rischio di un’interruzione, per il mancato trasferimento delle risorse ministeriali, il diritto alla mobilità dei lavoratori transfrontalieri non è negoziabile.
Pertanto in una situazione di scarsa chiarezza dal punto di vista normativo sarà la Regione a farsi garante della continuità del servizio». L’accordo con le autorità del CantonVallese prevede la definizione, entro una decina di giorni, di un’equa ripartizione dei costi tra i due territori.
E’ stata, inoltre, valutata la possibilità di sviluppare la linea per sostenere il turismo e le attività ricettive. «Restano da definire alcuni dettagli – sottolinea Balocco – ma grazie alla collaborazione svizzera, possiamo rassicurare i lavoratori: i collegamenti non saranno interrotti».
Molto soddisfatto il sindaco Cattrini: «Finalmente, grazie anche all’impegno del vicepresidente della Regione Aldo Reschigna è stata formulata una soluzione credibile che senz’altro verrà ratificata entro la fine del mese».
Da “La Stampa” 17 ottobre 2014
L’ordine del giorno sul Jobs act
Ecco il testo del documento approvato ieri sera alla direzione nazionale del PD con 130 voti a favore, 20 contrari, 11 astensioni.
Approvando la relazione del Segretario, il Partito Democratico non può perdere questa occasione per realizzare un mercato del lavoro che estenda i diritti e le tutele a quei lavoratori che oggi non li possiedono e dove nessuno sia più abbandonato al proprio destino.
Intendiamo raggiungere questo obiettivo con una riforma di sistema che estenda i diritti nel rapporto di lavoro a chi oggi non ne ha di adeguati e universalizzi le tutele nella disoccupazione; aumenti la produttività favorendo la mobilità dei lavoratori verso impieghi che migliorino il loro reddito e le loro prospettive, senza scaricare solo su di loro i costi di questo aggiustamento.
Per questo sosteniamo il Governo a guida del Partito Democratico a mettere immediatamente in campo strumenti coerenti con questi obiettivi.
1. Una rete più estesa di ammortizzatori sociali rivolta in particolare ai lavoratori precari, con una garanzia del reddito per i disoccupati proporzionale alla loro anzianità contributiva e con chiare regole di condizionalità attraverso un conferimento di risorse aggiuntive a partire dal 2015.
2. Una riduzione delle forme contrattuali, a partire dall’unicum italiano dei co.co.pro., favorendo la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato con tutele crescenti, nella salvaguardia dei veri rapporti di collaborazione dettati da esigenze dei lavoratori o dalla natura della loro attività professionale.
3. Servizi per l’impiego volti all’interesse nazionale invece che alle consorterie territoriali, integrando operatori pubblici, privati e del terzo settore all’interno di regole chiare e incentivanti per tutti.
4. Una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l’incertezza e la discrezionalità di un procedimento giudiziario con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro. Il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie.
Ufficio Stampa PD VCO
“Una riforma del mercato del lavoro è urgente, ma deve prevedere tutele per tutti i lavoratori”
Giorni decisivi per la riforma del mercato del lavoro. La Direzione del PD ne discuterà lunedì e io mi auguro che la discussione sia vera. Chi difende il reintegro nel proprio posto di lavoro di un lavoratore licenziato senza giusta causa non è un conservatore, molto semplicemente si pone il problema di allargare le tutele e, con esse, la dignità del lavoro. Per questo è auspicabile che si eviti il diktat del prendere o lasciare.
In questi giorni, ho letto tutti i commenti di coloro che propongono di superare l’articolo 18 per i nuovi assunti, anche dopo tre anni dalla data di assunzione, ma nessuno di essi mi ha convinto. Mi sembra una concessione fatta alla destra. Niente di più, niente di meno. Non a caso Forza Italia è pronta a votare a favore di questo aspetto della riforma.
Una riforma del mercato del lavoro è urgente. Lo dicono tutti, quindi non è questo l’oggetto del contendere. Essa, però, per essere efficace e cambiare davvero il mercato del lavoro, deve comportare una drastica riduzione di quelle sei tipologie di contratto che, in questi anni, hanno generato precarietà e incertezze, umiliando milioni di ragazzi e di persone.
La precarietà nasce da questo, non dall’articolo 18. Il contratto a tempo determinato a tutele crescenti non può diventare la quarantasettesima, ma deve essere la forma contrattuale prevalente insieme a pochissime altre.
Perché lo diventi deve, però, essere conveniente e può diventarlo solo le imprese verranno incentivate ad adottarla. In secondo luogo, una seria riforma del mercato del lavoro deve prevedere una universalizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali, comprendendo quei lavoratori e quelle persone che, fino ad oggi, sono stati esclusi.
Questo ha un costo che deve essere quantificato e la relativa copertura finanziaria indicata nella legge di stabilità, cioè adesso. Una drastica riduzione delle tipologie contrattuali esistenti e l’universalizzazione degli ammortizzatori sociali sono due facce della stessa medaglia e, proprio per questo, devono essere decise contestualmente. Infine vi è la questione del superamento dell’articolo 18. Il Governo e la destra prevedono che le tutele dell’articolo 18, per la parte che riguarda il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, non debba valere per i nuovi assunti con contratto a tempo determinato a tutele crescenti, nonostante questi lavoratori per tre anni non possano godere di tale tutela.
La motivazione è che il suo mantenimento nuoce alla crescita delle imprese e all’occupazione. Non è vero. Le imprese non assumono e, anzi, stanno licenziando, perché il Paese e l’economia non crescono ed il rischio è che la stessa cosa succeda anche nel 2015. I problemi delle imprese sono altri. Lo pensavano anche Renzi e Squinzi, ma oggi hanno cambiato opinione. Io credo che, decorsi tre anni, ad un nuovo assunto debbano essere garantite tutte le tutele previste dall’articolo 18.
E’ vero che nella maggioranza dei casi i licenziamenti senza giusta causa si sono conclusi con una conciliazione tra azienda e lavoratore, ma questa è una ragione in più per mantenere in vita questa tutela e per scoraggiare, anche in futuro, abusi e licenziamenti senza giusta causa, tanto più che per i primi tre anni i nuovi assunti non potranno contare su nessuna di queste tutele. Le regole e le norme esistono per affermare i diritti, in questo caso la dignità del lavoro, e per scoraggiare comportamenti illeciti. Qualcuno è in grado di dimostrare che tali comportamenti cesseranno di verificarsi? Non lo credo proprio, ma se è così non c’è nessuna ragione per superare questa tutela.
Marco Travaglini, Direzione regionale Pd Piemonte
Lavoro: Basta caricature e confrontiamoci sui fatti se vogliamo sul serio “cambiar verso”
1. Questa caricatura degli innovatori da una parte e dei vecchi conservatori dall’altra sarebbe saggio cancellarla. Se gli innovatori sono la destra che pensa di uscire dalla crisi riducendo i diritti e la dignità di chi lavora, io penso sia giusto stare dall’altra parte. Se invece l’innovazione è mettere al centro l’estensione di quei diritti anche a chi ne è privo si apre non un sentiero ma un’autostrada. In termini di principio e strategie. Nessuno vuole arrestare l’azione del governo. Ma è lecito domandarsi e capire se la direzione va nel senso dell’equità o di un’ingiustizia maggiore.
2.Ci sono tre parole chiave per aggredire la recessione italiana (e non solo): investimenti, redistribuzione, diritti. Le cause profonde della ‘crisi peggiore del secolo’ sono legate a una distribuzione squilibrata del reddito. Nei trent’anni gloriosi del dopoguerra la crescita era accompagnata da una distribuzione del reddito che andava in buona parte verso i lavoratori e l’emergere di una classe media. Aumentarono i consumi e la domanda aggregata, il che portava a incrementare produzione, investimenti e occupazione. In Italia, in meno di vent’anni circa 120 miliardi di euro (l’8% del Pil) si sono spostati dal lavoro ai profitti. Inoltre quei profitti sempre di più non vengono investiti nella produzione ma in dividendi e rendite. La conseguenza è che la classe media ha perso dignità, potere d’acquisto, coscienza di sé. Se la risposta a questo disastro è dare mano libera alle imprese per una rincorsa al ribasso dei salari puntando a compensare l’ulteriore calo della domanda interna con una febbre dell’export, forse non è chiara l’emergenza sociale che vivono milioni e milioni di famiglie.
3. Il neo commissario Katainen dice col ditino alzato che bisogna prendere le medicine e non basta averle sul comodino. Si può anche convenire ma è pur vero che le medicine, prima di tutto, si devono poter comprare. Ora, i paesi che in questa fase hanno gestito meglio il problema occupazionale hanno aumentato la spesa per le politiche per il lavoro (e tengono questa percentuale sopra il 2% del PIL). Noi abbiamo una spesa per le politiche per il lavoro storicamente inferiore al 2%. Circa 17 miliardi. La Germania ne spende 48, la Francia 50, la Spagna 40. Quanto alla composizione di quella spesa, dovrebbe andare per il 12% ai servizi, per il 38% alle politiche attive e per il 50% ai sussidi di disoccupazione. Così accade in Germania, Francia, Olanda. Nel nostro caso: i sussidi superano il 75%, le politiche attive il 20 e i servizi per l’impiego meno del 5. Risultato: in Francia ci sono circa 70 mila orientatori e consulenti pubblici per aiutare chi cerca lavoro, in Germania sono 80 mila. Noi poco più di 7 mila operatori pubblici. In Francia c’è un orientatore ogni 40 disoccupati, da noi uno ogni 400. Vogliamo parlare di questo e dare al governo tutto il sostegno che serve a migliorare le performance del nostro mercato del lavoro su questa frontiera? Bisogna aggiungere che solo noi e i greci non abbiamo uno strumento generale di sostegno al reddito per chi cerca lavoro, di tipo universale e condizionato all’attivazione e all’aumento delle capacità?
4. L’abolizione della reintegra ( articolo 18) è un totem? Un tabù? Una bandiera strappata che difende una manciata di lavoratori e non fa parte dello spirito del tempo? Ci vuole pazienza dopo anni di questo martellamento. Basterebbe la logica. Se davvero fosse solo quello, non si capirebbe la furia che ispira i teorici della sua cancellazione. Il punto è che dietro quella norma c’è banalmente un principio. Non un’ottusa convinzione degna dei libri di storia. Un principio. Togli quel principio e apri la via a un mercato del lavoro diverso, qualitativamente diverso. Dove sarà più facile governare “l’uscita” come spiegano con eleganza quelli che hanno studiato. Ma dove soprattutto si sarà certificato che a prevalere è stato un pensiero disposto a sacrificare una parte della parola ‘dignità’ nel nome di un’efficienza fasulla e priva di qualunque riscontro. Questo mestiere di solito lo fa la destra. E’ la destra che parla di apartheid. Noi dovremmo pensare che la via giusta è quell’altra. Fare ciò che nessuno fa: investimenti pubblici come leva di quelli privati, immaginare i settori dove investire perché saranno quelli che descriveranno il profilo produttivo tra cinque o dieci anni. Picchiare la mano sul tavolo e dire che questa è la sola linea che può salvare l’Europa. Se poi, in mezzo al tutto, dedicassimo la stessa cura che diamo a smobilitare qualche diritto a recuperare metà dei centoventi miliardi di evasione, ecco allora forse si capirebbe meglio chi siamo e per cosa ci battiamo. Così si “cambia verso” nel concreto e non a chiacchiere.
Marco Travaglini, componente assemblea provinciale PD VCO
Basta con questa litania sull’articolo 18 e si lavori per creare nuova e buona occupazione.
Un’altra modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sui licenziamenti senza giusta causa rappresenterebbe un colossale errore. L’articolo 18 è stato innovato due anni fa, all’epoca di Monti, grazie a un compromesso tra Fi e Pd. Modificarlo di nuovo rischierebbe di acuire le tensioni sociali.
Se è vero che per il 58% degli italiani la priorità continua a restare l’emergenza lavoro, questa va affrontata dal governocreando opportunità di lavoro, investimenti per il manufatturiero, innovazione, ricerca, misure per favorire talenti nella produttività.
Se il Nuovo Centro Destra, per esigenze di visibilità, ha la pretesa di alzare il tiro chiedendo di rivedere lo Statuto lavoratori e l’articolo 18, due argomenti che – tra l’altro – nella delega sul lavoro non sono contenuti, occorre rispondere che i problemi, le urgenze e le risposte sono altre. Sulle tutele si può pensare tutt’al più ad una moratoria di tre anni per i neo-assunti ma dopo devono avere anch’essi le stesse garanzie dei loro padri.
Questa polemica sull’articolo 18 svia l’attenzione dai nodi veri dell’economia italiana e poggia la sua motivazione sulla necessità di superare per sempre i retaggi di una cultura novecentesca abbarbicata ai totem sindacali degli anni ‘70.
Ma quando si fa notare che non pare ragionevole e nemmeno probabile che negli anni alle nostre spalle sia stato davvero il “famigerato” articolo 18 a inibire l’assunzione di giovani e meno giovani da parte di imprese costrette a misurarsi con la crisi peggiore dell’ultimo secolo, la risposta è sempre la stessa: “bisogna dare un segnale”, “occorre abbattere i tabù”, e via di questo passo. Vogliamo davvero dare segnale, abbattendo un tabù?
Bene! Allora smettiamola di attaccare l’articolo 18 e cerchiamo di creare nuova e buona occupazione. Se qualcuno pensa che lo si possa fare colpendo o riducendo la sfera dei diritti di chi lavora o di chi un lavoro lo cerca, applicando vecchie ricette care alla destra liberista, troverà una forte opposizione.
Marco Travaglini
assemblea provinciale PD VCO
Stati generali dei frontalieri
Entro la fine dell’anno verranno organizzati, nel Vco, gli Stati Generali del frontalierato.
La decisione è stata assunta lunedì 25 agosto a Cannobio al termine della riunione promossa dall’amministrazione Albertella che ha coinvolto i sindaci fino a Verbania e ancora delle valli Vigezzo e Cannobina, i rappresentanti dei lavoratori, l’on. Borghi e il vice presidente del Piemonte Reschigna.
Il tavolo ha chiesto anche l’impegno da parte del nuovo presidente del Vco che sarà eletto il 12 ottobre e cui spetta la presidenza della Regio Insubrica, per la convocazione di una riunione all’interno della Regio finalizzata ad assumere iniziative e proposte dirette alla Svizzera.
Per le questioni piu’ ordinarie come la viabilità poi accolta la proposta del sindaco di Verbania Marchionini di creare un gruppo di lavoro che comprenda i rappresentanti delle amministrazioni interessate e un portavoce dei lavoratori. La prima riunione è fissata a Verbania per il 18 settembre. Condivisa da piu’ parti – sebbene qualche sindaco abbia manifestato le proprie perplessità – anche la proposta di Marchionini di un aliscafo, in via sperimentale, a disposizione dei frontalieri.