Enti Locali: le proposte del pd nazionale.

Ieri, il segretario nazionale dle PD Bersani ha presentato le proposte alternative del PD all’attuale manovra di Ferragosto presentata dal governo.
Pubblichiamo la parte relativa alla riforma degli enti locali visto il dibatttito che si è acceso nel VCO. (la proposta completa è scaricabile cliccando qui).
Istituzioni più snelle e taglio ai costi della politica.
Interventi per riorganizzare e ristrutturare l’assetto istituzionale centrale e territoriale e le pubbliche amministrazioni. In particolare: dimezzamento del numero dei
parlamentari; interventi sistematici e coordinati su Regioni, Province, Comuni per lo snellimento degli organi di rappresentanza e di governo, per l’obbligo della gestione associata di tutte le funzioni nei comuni con meno di 5000 abitanti (e profonda revisione dell’articolo 16 del Decreto che limita la rappresentanza democratica e non produce reali risparmi di spesa), il dimezzamento delle Province o, in alternativa, la loro trasformazione in enti di secondo livello; accorpamento degli uffici periferici dello Stato, radicale riduzione delle società partecipate da Regioni, Province e Comuni ed eliminazione degli organi societari per le società “in house” (oltre 50 mila incarichi), soppressione di enti, agenzie ed organismi, intermedi e strumentali, (consorzi di bonifica, bacini imbriferi montani, enti parco
regionali) con attribuzione delle funzioni a Regioni province e comuni, centrale unica per gli acquisti di beni e servizi per ogni articolazione delle pubbliche amministrazioni; riavvio della spending review, per realizzare, per ciascuna amministrazione, veri e propri piani industriali, introdurre best practices e costi standard; revisione delle norme sugli appalti, in particolare per una drastica riduzione del numero delle stazioni appaltanti.

Province si o no: intervista a La Stampa del segretario provinciale Antonella Trapani

Per mantenere in vita la Provincia solo per avercelo scritto sulla carta d’identità è meglio chiuderla». A sostenerlo è Antonella Trapani, segretario provinciale del Partito democratico.
Quindi è a favore della manovra del Governo?
«Non ha senso battersi per avere un ente se poi questo non può disporre di risorse che gli permettono di progettare il futuro. Quando è nato il Vco c’erano determinate risorse, che ora non ci sono più. L’unica salvezza per mantenere in vita la Provincia potrebbe essere il riconoscimento dell’autonomia, sempre se alla dichiarazione di principio farà seguito un’agevolazione economica. Questo lo spero, ma la vedo dura andare a chiedere in Regione più soldi per una realtà di 160 mila abitanti in un periodo come quello attuale».
Tutto il partito è d’accordo con la sua posizione?
«Certo che no, c’è un dibattito anche al nostro interno, come del resto anche in casa d’altri».
Zacchera ha detto che voterà contro la manovra del Governo e Zanetta proponeva di salvare il Vco “annettendo la Valsesia”. Cosa ne pensa?
«Perché Zacchera non ha votato contro in tutti quei provvedimenti che tagliavano i trasferimenti agli enti locali o ai vari condoni? Con i dovuti emendamenti che porterà avanti il Pd, io sarei disposta a votare sì, per non affossare in pieno un tentativo di cambiamento. Sulla Valsesia la proposta mi lascia decisamente perplessa. Mi sembra questa una strada molto poco percorribile e soprattutto una scusa trovata da alcuni politici per difendersi di fronte ai loro elettori. E poi la Valsesia sarebbe d’accordo a venire con il Vco? Non vedo male invece una provincia con Biella, Novara e Vercelli. Ho però il timore che all’ultimo riusciranno a tenere in vita il Vco, ma senza la garanzia di risorse: in questo modo non vedo vantaggi per il territorio».
Quindi è un problema di risorse?
Riportiamo il testo dell’intervista uscita oggi 17 agosto.
«Ci preoccupiamo degli enti che sopprimono o uniscono, ma non si spende una parola sui drastici tagli ai trasferimenti con cui devono fare i conti gli amministratori. Se fossi un sindaco, mi sentirei in grande disagio nei confronti di chi mi ha eletta: ad agosto i Comuni non hanno ancora la certezza di quanti soldi arriveranno dallo Stato. E’ assurdo».
Cosa ne pensa della fusione tra piccoli comuni?
«Ai cittadini non credo interessi avere il municipio sotto casa. La gente vuole servizi all’infanzia, per gli anziani, strade senza buchi, a prescindere da quale sia il sindaco. La fusione va bene ma deve essere a due condizioni: che parta dal basso, sentendo la volontà dei territori, magari anche tramite un referendum. E poi deve essere fatta per garantire una qualità migliore di vita alla gente che vive nelle piccole realtà e non con l’unico scopo di ridurre la spesa. Non ripresentino poi la figura del podestà, che da solo svolge il compito di sindaco e giunta: ai piccoli Comuni non togliamo anche la democrazia».

Riforma degli enti locali: siamo sicuri che i cittadini non la vogliano?

Giorgio Ferroni

E’ evidente che il CLAMOROSO limite della proposta del governo sta nel obbligare i comuni e le province ad una fusione forzata organizzata con un blitz realizzato nel periodo estivo su richiamo della BCE; anche perché questo NON è UN FULMINE A CIEL SERENO: L’abolizione delle province era uno dei punti del programma della PDL del 2008; Novara Biella e Vercelli stanno da mesi lavorando per mettere in comune strutture e servizi; Il progetto Calderoli, in discussione ad ottobre prevede l’obbligo della gestione associata dei servizi per i comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti.
Tutti sapevano che si sarebbe arrivati a questa situazione perché non si è aperto per tempo un tavolo per costruire, dal basso, assieme alle amministrazioni locali in cui la politica mettendo anche se stessa in discussione richiamava tutti ad un assunzione di responsabilità? Perché non si sono abolite anche le province metropolitane che sono le più inutili di tutte? Che fine faranno le comunità montane? Come si interfaccia questo DL con la proposta Calderoli?
La risposta è che il governo non ha un idea rispetto ad un riassetto complessivo dello stato, aveva altre priorità su cui si è concentrato (vedi processo breve).
Il nostro partito deve però mettere in campo una proposta bandendo definitivamente tutti i  timori che l’hanno fin qui rallentato perché la questione di una RIFORMA SERIA DEGLI ENI LOCALI E’ COMUNQUE INELUDIBILE e percepita da cittadini, amministratori e dipendenti come una necessità.
Per troppi anni la pubblica amministrazione ha sperperato e abusato di assunzioni e spese fuori mercato e questo ha contribuito non poco al dissesto economico del paese, ora il tempo delle vacche magre è arrivato e semplicemente non ci si può permettere un sistema di questo tipo. Quindi è dovere del PD essere il patito della proposta e non della conservazione anche perche questo paese non è più quello di quaranta anni fa. Nel nostro specifico i comuni di montagna un tempo non depuravano l’acqua, non facevano il trasporto scolastico ne i servizi sociali, ora un comune di 500 o 1000 abitanti poco conta, o fa questi servizi in forma associata o non li fornisce.
Ovviamente ha ragione chi afferma che il costo degli amministratori locali non è il vero problema.  Il vero problema è avere delle strutture che abbiano un’organizzazione tale per cui gli enti pubblici possano gestire con criteri di trasparenza ed economicità le funzioni legate ai servizi fondamentali e questo, è inutile che ci si giri intorno, lo si può avere solo razionalizzando (rendere razionale più adeguato e rispondente allo scopo” – zingarelli) ed unificando enti e servizi.
Rispetto alla questione dei comuni come presidio della democrazia diretta mi sembra che sia un aspetto abbastanza teorico, ma se guardiamo al nostro territorio abbiamo una serie di esempi che  mostrano come molto spesso i comuni siano un terreno di conquista per avere un posto in enti di secondo grado, visibilità et..
Ricordo i comuni della Valle Cannobina (falmenta Gurro et..) dove spesso si organizzano liste importando candidati di varie parti della provincia, a Gurro dei 150 residenti oltre la metà sono solo formali, gli altri vivono in Svizzera e due anni fa non avendo raggiunto il 50% dei votanti il comune è stato commissariato, o il comune di Seppiana amministrato da chi risiede altrove, il comune di Trasquera (molto ci sarebbe da dire) che per tre mandati ha avuto un sindaco non residente, il comune di Montecrestese  che pur avendo 1100 abitanti non riesce ad esprimere più di una lista; il comune di Bognanco dove sistematicamente si candidano non residenti per avere il posto in Comunità Montana et..
La partecipazione è ai minimi storici, anche in comuni medi come Crevoladossola ci sono delle oggettive difficoltà ad avere adesioni a liste amministrative e i consigli comunali sono sostanzialmente deserti rispetto al pubblico.

Comunque a parte tutto poniamoci delle domande: l’attuale sistema delle autonomie locali è funzionale per dare servizi ai cittadini?
Evidentemente la risposta è no. I piccoli e medi comuni hanno problemi di organico, una maternità di fatto può bloccare un ufficio per un anno; molti servizi non hanno un responsabile in pianta stabile; i segretari comunali sono sempre e comunque a scavalco; ci sono difficoltà a gestire i servizi che spesso devono essere esternalizzati con costi aggiuntivi.
Siamo consapevoli che nessuno dei sette comuni della Valle Vigezzo (escluso Santa Maria) ha un tecnico comunale in pianta organica, che di media i comuni vigezzini aprono lo sportello per due ore a settimana con tecnici professionisti esterni che  vengono retribuiti a fattura.
I bilanci sono sempre assolutamente e perennemente in difficoltà e ovviamente non si può pensare di avere più risorse a breve.
Pensiamo alla Comunità Montana Ossola, è sostanzialmente in stand bye da due anni, eroga finanziamenti con grande difficoltà  e se facciamo un rapporto fra servizi erogati e costi  di funzionamento abbiamo un valore assolutamente basso.

Siamo proprio sicuri che i cittadini siano così indissolubilmente legati al municipio? Ovviamente se la scelta è avere lo stesso livello di servizi attuale senza avere la rappresentanza municipale non c’è nessun vantaggio per i cittadini, ma se a questi si proponessero servizi migliori in cambio di un accorpamento di enti la stragrande maggioranza accetterebbe senza problemi. Questo visto anche lo scarso livello di partecipazione alla vita amministrativa, perché alla gente interessa che se c’è un problema questo si risolva, non tanto chi lo risolve. Ovviamente presupposto fondamentale di un operazione di questo tipo è che non ci deve essere un solo problema di tagli ma la volontà di migliorare i servizi (non è purtroppo questa l’intenzione del governo).

Ovviamente è indispensabile pensare in qualche modo ad una futura gestione associata dei servizi, ma poniamoci una seconda domanda: Se realizziamo un unione di comuni che esercita in forma associata i servizi fondamentali attraverso una giunta formata dai sindaci che ruolo resta al consiglio comunale? I consigli comunali nei piccoli centri sono di solito di basso profilo e vengono convocati due – tre volte all’anno, dove ci sono almeno due liste c’è di solito un minimo di controllo della minoranza, altrimenti si ratifica quello che va in giunta, allora come mettiamo in campo un minimo di controllo (quello si democratico) sull’azione della giunta dell’unione? Pensiamo ad un consiglio tipo comunità montana con tutti i suoi limiti? Pensiamo ad un sindaco podestà come il centro destra (qui sarebbe veramente la morte della democrazia)? O forse non sarebbe meglio pensare ad un consiglio classico eletto direttamente dai cittadini con le preferenze, con una partecipazione allargata, maggiori risorse umane e di esperienza,  ma sul  bacino di elettori più ampio dell’Unione? Io credo sia la proposta più ragionevole, ed è però evidente che cosi si realizza di fatto l’unificazione dei comuni dell’Unione.

Giorgio Ferroni

assessore comune di Crevoladossola

Piccoli comuni? Una risorsa da far funzionare con le gestioni associate

Comune di Quarna Sotto

La soppressione dei piccoli comuni, “venduta” come una delle misure necessarie per operare i risparmi che si rendono non più rinviabili è, francamente, una stupidaggine che può creare molti problemi senza raggiungere un solo risultato utile.  Per questo confido in  un’azione coordinata dei parlamentari piemontesi e delle associazioni dei comuni, affinché in fase di conversione in legge del decreto sulla manovra, sia radicalmente modificata questa norma che prevede l’accorpamento obbligatorio delle realtà municipali inferiori ai mille abitanti e la soppressione delle Giunte e dei Consigli comunali in queste realtà, introducendo la figura del sindaco-podestà. Qui non si tratta di difendere chissà quali privilegi della casta, ma, al contrario, un’architettura istituzionale che ha prodotto in Piemonte una rete diffusa buon governo della cosa pubblica in decenni di storia. E’ da valutare,invece, la proposta avanzata da Reschigna sulla soglia media per la gestione associata dei servizi, tenendo conto di parametri come le distanze chilometriche esistenti tra i vari comuni, la rete viabilistica, il carattere montano di larga parte del territorio della nostra regione e della quasi totalità del VCO.
Cancellare dalla cartina geografica metà dei comuni del Piemonte in nome dei tagli ai costi della politica è una autentica presa in giro nei confronti dei cittadini: un ministero inutile quale quello sull’ “attuazione del programma” costa ben di più di tutti i consigli comunali dei 1.944 comuni italiani che il Governo vuole eliminare.  Stando a “casa nostra”, nel VCO, è evidente che – come l’intero Piemonte – si tratta di una realtà di piccoli comuni: 71 su 77 hanno una popolazione inferiore ai cinquemila abitanti e la stragrande maggioranza sono sotto la “soglia” critica stabilita dal decreto. Ciò genera difficoltà nella gestione dei servizi e non a caso si è già avviata da tempo un’azione decisa in questa direzione. Non è sufficiente? Rafforziamola ma, a mio parere, l’accorpamento dei comuni  può derivare solo da un movimento spontaneo delle popolazioni e non può, né deve essere sollecitato in quanto non sono solo un riferimento identitario per la gente, ma costituiscono un vero e proprio presidio democratico e uno “sportello” aperto tra i cittadini e le istituzioni.. Ci si rende conto che interessarsi della gestione del proprio paese è il primo passo dell’impegno civile dei cittadini/amministratori? Parrebbe proprio di no. I piccoli comuni devono invece aggregarsi per la gestione dei servizi. Vanno sostenuti con strumenti concreti (come ha fatto la precedente giunta di centrosinistra in Regione):incentivando le funzioni associate;semplificando le procedure amministrative;riducendo il co-finanziamento a loro carico nell’accedere alle risorse regionali;favorendo il riequilibrio insediativo e il recupero del patrimonio edilizio dei centri abitati nelle piccole realtà montane, attraverso finanziamenti per chi trasferisce in montagna residenza e attività economica sostenendo le attività commerciali in quelli più marginali e con meno abitanti, attraverso agevolazioni tributarie e interventi di sostegno a queste attività. Questo servirebbe e non un taglio netto e cieco che produrrebbe enormi guasti e nessun beneficio reale.

Marco Travaglini, segretario del Pd omegnese e ex consigliere regionale

Eppure siamo ancora in emergenza…

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
E’ agosto, fa caldo, molte persone sono in vacanza al mare o in montagna .. e come ogni agosto che si rispetti si torna a parlare con insistenza ed enfasi di carcere … di crisi del sistema penale … di sovraffollamento … di risposte semplici a problemi endemici e complessi …
Sono 15 anni che opero nel mondo delle galere, e ciclicamente ho la fortuna di assistere alla levata di scudi di personalità che a tutti i costi vogliono convincerci che la soluzione dei problemi del sistema dell’esecuzione penale transiti attraverso slogan che di originale non hanno neppure più il nome.
Viviamo quotidianamente una situazione paradossale stritolati nella morsa prodotta dalla spinta giustizialista da una parte, cavalcata trasversalmente da rappresentanti del mondo politico sempre pronti ad alimentare la retorica infruttuosa e demagogica della tolleranza zero e del grido di allarme e paura verso l’ondata criminale che sta attraversando il nostro paese, e dall’altra dallo sdegno umanitario per le condizioni di difficile vivibilità in cui versa il sistema penitenziario, soffocato da un volume ipertrofico di storie rispetto alle quali ci si limita alla funzione di mero contenimento.
Il nostro presente è semplicemente il frutto dell’assenza di una politica criminale strutturata e seria in questo Paese. Fino ad oggi ci siamo limitati a strillare l’esigenza di durezza, di castigo, di punizione, di carcere, dimenticandoci completamente cosa significhi ammassare esseri umani in condizioni di scarsa vivibilità ed in assenza di progetti, proposte serie su cui costruire un futuro.
Poi ecco che qualcosa accade, arriva il caldo, la gente non sa di cosa parlare e torna in voga la vulgata degli indignati per le condizioni in cui si trova il sistema nel suo complesso.
Avete presente la storiella dell’imbuto e del flusso d’acqua ? La filosofia è semplice, se vogliamo riempire una bottiglia d’acqua utilizzando un imbuto, dobbiamo fare attenzione a che il flusso che immettiamo non sia troppo consistente altrimenti, l’acqua, oltre a scendere nella bottiglia, tracima dall’imbuto.
In altri termini come possiamo pensare che un sistema finito e limitato come quello dell’esecuzione penale possa rispondere ad un flusso sempre più grande di penalità che pervade tutti gli ambiti del vivere civile?
Un primo ordine di problemi sta appunto in questa situazione di ipertrofica penalizzazione, figlia di una cultura perversa per cui si vorrebbe delegare ogni tipologia di fallimento della nostra società al sistema della pena immaginando che lo stesso, in funzione di qualche alchimia, sia in grado di restituire cittadini rinsaviti e motivati, pronti a fare la loro parte per lo sviluppo del paese. Per ogni condotta illecita prevediamo lo spauracchio del carcere, salvo poi inventarci migliaia di orpelli per non ricorrervi sul serio. Possibile che non sia immaginabile la definizione di un catalogo serio di pene alternative utilizzabili fin dalla fase processuale?
Forzature a parte non è questo il discorso che fa da sfondo al sistema penale ? Non ci aspettiamo forse che il problema della devianza, della scelta criminale, della marginalità sociale possa essere gestito come si farebbe per un lenzuolo macchiato, rivolgendosi ad una lavanderia industriale ed esigendo un servizio just in time?
Complessità è una parola che abbiamo bandito dal nostro vocabolario, e non solo vocabolario della politica. Quello che non riesco a capire è come sia possibile che ancora ci si racconti simili storie? Come è possibile che a fronte di una malattia fisica si giustifichi il titano mostruoso della Sanità Pubblica (spesa Pubblica pro capite anno 2009 pari a circa 1780 euro), luogo di elezione della proliferazione degli sprechi e delle clientele, e che invece rispetto a vere e proprie patologie sociali ci si accontenti del pacchetto low cost: penalizzazione e galera integrato da una montagna di retorica, superficialità e approssimazione.
Mi verrebbe da chiedere alle persone che in questi giorni strillano e fanno lo sciopero della fame, quante storie di galera hanno ascoltato con attenzione nella loro vita, ed in quante situazioni si sono implicati in prima persona per trovare risposte, per tentare di costruire futuri fatti di “normalità” di lavoro, relazioni, e luoghi dove poter vivere in pace.
Leggendo gli articoli che quotidianamente la rassegna stampa di Ristretti Orizzonti pubblica mi sorgono forti dubbi circa il fatto che questa ennesima vulgata sia figlia episodica di un indignazione di pancia, superficiale, incapace di andare oltre ai sintomi più evidenti dell’apocalisse che si vive all’interno del sistema penale di oggigiorno.
Si legge di amnistie, di estensione dell’utilizzo della detenzione domiciliare, di garanti, di aumento del numero degli agenti di polizia penitenziaria, di nuove galere.
Mi chiedo se chi ora parla di amnistia abbia assistito a quello che è accaduto solo 5 anni fa in occasione dell’ultimo indulto dell’agosto 2006. In quei giorni di agosto io ed i volontari della nostra associazione c’eravamo, e sappiamo bene cosa è accaduto. Sappiamo bene quanto insensata sia stata quell’opera di svuotamento impersonale delle galere, senza un progetto, senza un supporto, senza nessuna attenzione alle vicende individuali. Salvo poi leggere sui giornali di allora che il Ministro della Giustizia ed il Capo del DAP contavano sul ruolo che il terzo settore avrebbe potuto giocare per la gestione dell’emergenza legata alla fuoriuscita selvaggia delle persone. A chi chiede a gran voce l’amnistia chiederei se ha mai avuto il tempo o la pazienza di ascoltare una storia tentando di capire quali possono essere i modi per far sì che il fallimento di ieri non si traduca in un nuovo fallimento di domani.
Il carcere non funziona per tante ragioni. Prima fra tutte perché in carcere la gran parte delle persone è lasciata in balia di se stessa. A chi strilla gli slogan chiederei di documentarsi innanzitutto, avere l’umiltà di capire come funzionano le cose prima di proporre soluzioni ancora peggiori del problema. A Torino sono stati svolti alcuni lavori di ricerca sulle dinamiche di vita all’interno delle sezioni. Ci si è accorti che la gente che ha accesso a relazioni con l’esterno, a progetti, a lavoro, ad un tempo di autentico ripensamento e ricostruzione, tende a non farsi del male, a non volersi uccidere. Facciamo una ricerca e andiamo a capire chi erano le 42 persone che in questo anno si sono tolte la vita.. cosa facevano .. cosa c’è dietro alla loro storia, forse scopriremmo che il problema non è solo il sovraffollamento.
In carcere si sta male perché il ricorso alla custodia cautelare è fuori da ogni misura. In carcere si viene mandati per ogni ragione, anche quando le stanze di sicurezza presenti all’interno delle caserme di polizia e carabinieri non sono agibili .. Esiste una statistica assai significativa che parla della permanenza media delle persone all’interno degli istituti. Una parte consistente delle persone che transitano in carcere lo fa per periodi di 5/10 giorni, che senso ha tutto questo?
Cosa stiamo chiedendo agli operatori dell’amministrazione penitenziaria .. ?
Se poi ci addentriamo nell’oscuro mondo delle persone che abitano i luoghi della pena ci rendiamo conto del fatto che gran parte degli uomini e donne che vi fanno parte hanno storie da cui è ben tracciabile il filo rosso che ha poi portato all’approdo finale. Come dire, le storie ci
dicono in modo chiaro che una parte significativa degli ospiti del sistema sono persone fragili, che faticano a stare nei binari di una società che viaggia veloce e corre il rischio di lasciarsi alle spalle un cospicuo esercito di riserve. Scarsa scolarizzazione, contesti familiari degradati, carenza/fragilità di modelli educativi, povertà, dipendenza da sostanze, migrazioni, patologia mentale. Questi sono solo alcuni tra i frame tematici che accomunano la maggioranza delle storie delle persone che abitano i luoghi di pena.
Mi piacerebbe una volta sentire gli urlatori dire qualcosa a proposito di questo. Cosa si propone per cercare di rispondere a queste problematiche? Forse chi è troppo impegnato a strillare per le piazze non si è accorto che nell’ultimo periodo quei piccoli brandelli di welfare non sanitario che esistevano sono stati demoliti in ossequio al contenimento dei costi dello Stato.
Ancora due parole sui garanti. Ho letto di manifestazioni di piazza per sollecitare l’istituzione della figura del garante. La cosa è avvenuta in particolare in Piemonte. Mi sconvolge il fatto che per il rinnovo della nomina del garante per le persone private della libertà della Regione Piemonte si scenda in piazza, mentre quando solo 10 mesi fa è stato raso al suolo uno degli ultimi strumenti che consentiva la creazione di azioni positive rivolte a persone in esecuzione penale (il bando relativo agli interventi per il contrasto alla devianza promosso dalle Politiche sociali della Regione Pimonte appunto), nessuno abbia mosso un dito, nessuno sia sceso in piazza. Il risultato è ora sotto gli occhi di tutti. Se prima, tramite quegli 800.000 euro all’anno si riuscivano a garantire alcuni interventi minimali sul territorio della Regione, ora anche questo non esiste più. A tutto vantaggio della sicurezza delle nostre strade e comunità che potranno contare su un risparmio virtuoso di risorse Pubbliche e su un numero sicuramente maggiore di persone inserite/supportate al momento della loro scarcerazione grazie all’efficacia degli interventi messi in campo dalle reti di assistenza gestite dai sistemi criminali. Per rispondere alle istanze di chi vuole accedere ad una misura alternativa, piuttosto che per supportare chi sta uscendo di galera ci rivolgeremo al volontariato che è la risposta a tutti i problemi che il nostro Stato genera sperperando enormi capitali, senza essere in grado di porre argini e/o orizzonti di impegno.
Vorrei chiedere a quanti protestano cosa ci si attende dalla figura del garante ? Che formuli un piano di intervento complessivo per un certo territorio ? Che interpelli le istituzioni garantendo che qualcosa accada ? Che ascolti le storie delle persone e trovi una risposta ? O semplicemente che rappresenti un’altra poltrona in cui far sedere qualche illustre personalità ai margini della ribalta politica che conta, riconoscendogli un onorario a fronte di nessuna responsabilità ?
Il mondo delle galere soffre per le condizioni in cui sta vivendo. Soffrono i detenuti per non avere accesso ad un trattamento dignitoso e per essere condannati ad “un ozio senza fine” potendo contare su poche occasioni di riscatto; soffrono gli agenti, testimoni impotenti di un sistema che non fa altro che riprodurre se stesso all’infinto; soffrono gli operatori educativi perché consapevoli di tutto quello che manca e anche loro impotenti nell’assistere allo smantellamento dei pochi strumenti a loro disposizione; soffrono i direttori, chiamati a mettere la firma, ratificandolo loro malgrado, su un sistema che produce e riproduce sofferenza e violenza, giorno dopo giorno.
L’auspicio che giunge da questo operatore di base è che i politici a tutti i livelli, i decisori, i magistrati, i cittadini prendano una volta per tutte coscienza del fatto che le galere fanno parte delle comunità territoriali (non solo nei caldi mesi di agosto), rappresentandone una parte importante a cui affidiamo la custodia delle storie più difficili e tribolate, delle storie più meritevoli di attenzione e cura.
Esiste un dovere etico e civile legato all’esigenza di promuovere una riforma SERIA di questo ambito di azione. Una riforma che un volta per tutte sia capace di porre un freno al ricorso alla pena detentiva e alla sua funzione simbolica, specie nei confronti dell’esercito di riservisti richiamato in precedenza: migranti destinatari di un provvedimento di espulsione, marginali cronici, malati di mente, tossicodipendenti …
Una riforma che voglia costruire risposte complesse anche e soprattutto sul piano dell’accesso a standard minimi di servizi di welfare (casa, lavoro, inclusione sociale) per poter ricostruirsi una vita nel caso in cui se ne senta il dovere, la motivazione.
Nel corso del tempo abbiamo imparato che dal trattamento dei rifiuti e dalla loro differenziazione potevano svilupparsi filiere virtuose, a tutto vantaggio della comunità e dell’ambiente ..
… forse un giorno capiremo che dalla valorizzazione delle storie che vivono confinate tra le mura degli stabilimenti penali, dipende buona parte della qualità della convivenza e della sicurezza delle nostre comunità locali …
Marco Girardello

M.G.
È laureato in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano con una tesi in diritto penitenziario. Da circa 15 anni lavora all’interno di alcuni istituti di pena piemontesi promuovendo iniziative, progetti per lo sviluppo di servizi di welfare da rivolgere a persone con problemi di Giustizia, oltre che per lo sviluppo di lavoro penitenziario. Ha partecipato a numerosi tavoli di lavoro, seminari, convegni portando la sua esperienza di operatore di base. E’ socio fondatore dell’Associazione Camminare Insieme oltre che della Cooperativa sociale Divieto di Sosta che, temporaneamente,preside.Lavora presso la Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri di Verbania.
marco.girardello@carmes.it