Esprime soddisfazione il deputato del Partito Democratico Enrico Borghi,capogruppo Pd in commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera, per la notizia odierna relativa all’avvenuto sblocco delle risorse per i primi interventi finanziati attraverso il bando ‘scuole sicure’ per l’anno 2015
“La notizia di oggi è estremamente positiva – commenta il parlamentare ossolano – abbiamo avuto la conferma dal Ministero dell’Istruzione, di concerto con quello dell’Economia, dello stanziamento effettivo e bollinato per i primi interventi sulle scuole del nostro territorio relativi al primo anno della programmazione triennale, ovvero il 2015”.
I comuni del Vco che a suo tempo fecero richiesta e che sono stati individuati dal Ministero come beneficiari del contributo, sulla base della selezione compiuta dalla Regione Piemonte, sono Druogno (313.641,64 euro), Baveno (800.000,00 euro), Anzola (232.118,58 euro), Pieve Vergonte (800.000,00 euro), Vogogna (233.560,45 euro) e Villette (41.517,35 euro) per un totale del Verbano Cusio Ossola di 2.420.838,02.
Per la provincia di Novara: Casalino (100.000 euro), Grignasco (800.000 euro), Invorio (60.700 euro), per un totale di 960.400 euro.
Gli interventi saranno effettuati nelle prossime settimane, in quanto una delle caratteristiche richieste dal Ministero era l’immediata cantierabilita’ degli interventi, e non saranno soggetti a patto di stabilità.
Gli ulteriori interventi inseriti nella programmazione unica nazionale verranno successivamente finanziati con fondi a valere sugli anni 2016 e 2017.
“Si tratta di una risposta concreta che parlamento e governo danno ai nostri territori e ai nostri comuni – conclude Borghi – i temi della messa in sicurezza degli edifici scolastici e dell’investimento nell’istruzione tornano ad essere una priorità anche nei prossimi anni per il rilancio del nostro paese e del nostro territorio, per una scuola sempre più di qualità’, sia nella didattica che nell’edilizia”.
Il parlamentare democratico Enrico Borghi, capogruppo del Pd in commissione ambiente, territori,e lavori pubblici della Camera, si e’ fatto promotore della presentazione, avvenuta ieri in Aula, di una interpellanza urgente, sottoscritta da altri trenta parlamentari democratici, al Ministro dell’Ambiente per l’innalzamento del livello del lago Maggiore.
“E’ una problematica che mi è stata manifestata con forza negli scorsi giorni dall’assessore all’ambiente del comune di Verbania Laura Sau – commenta Borghi – è una questione estremamente rilevante, per la quale ho chiesto con questa interpellanza un intervento diretto del Ministro dell’Ambiente perché si possa risolvere questa situazione che si è venuta a creare, che rischia di essere controproducente per il nostro territorio sia sotto l’aspetto ambientale e turistico, determinando una diminuzione delle spiagge del Lago Maggiore, sia dal punto di vista della sicurezza con la possibilità concreta in caso di forti piogge di esondazioni e allagamenti”
“All’origine di tutto – commenta il parlamentare democratico – c’è stata la scelta unilaterale e non concertata da parte dell’Autorità del Bacino del Fiume Po di autorizzare il 12 maggio scorso l’avvio della sperimentazione della regolazione estiva dei livelli del Lago Maggiore innalzandone progressivamente il livello fino al raggiungimento di un livello maggiore di un metro e mezzo”
“L’errore – continua Borghi – è stato quello di non considerare la posizione espressa dai comuni rivieraschi del lago Maggiore manifestata all’interno dell’ultima seduta della Conferenza dei Servizi con la quale hanno espresso la loro preoccupazione per l’equiparazione fatta del regime invernale con quello estivo del livello del lago”
“Con i miei colleghi parlamentari abbiamo chiesto al Ministro dell’Ambiente di intervenire direttamente – conclude Borghi – perché si salvaguardino innanzitutto gli equilibri ecologici delle sponde lacuali nonché non si comprometta il servizio turistico così essenziale per l’economia del nostro territorio. Mi aspetto una garanzia del Ministro Galletti in tal senso”.
Codice del Vino ed aree interne: per il rilancio della viticoltura ossolana.
Questo il titolo di un importante convegno organizzato dall’On. Enrico Borghi in collaborazione con l’Associazione Produttori Agricoli Ossolani per lunedì 1 Giugno alle ore 20.30 a Domodossola presso la sede dell’Unione dei Comuni (via Giuseppe Romita 13).
Al centro della discussione il rilancio della viticoltura ossolana attraverso le importanti prospettive aperte dal ricoscimento dell’Ossola all’interno del Programma Aree Interne e da quanto previsto dal Codice del Vino, in queste settimane in discussione alla Camera dei Deputati.
A discuterne saranno l’On. Massimo Fiorio(Commissione Agricoltura della Camera, nonché relatore del provvedimento), l’On. Enrico Borghi(Commissione Ambiente), Aldo Reschigna
(Vicepresidente Regione Piemonte) e Giorgio Ferrero (Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte).
Interverranno ai lavori anche il Presidente dell’Unione dei Comuni Marzio Bartolucci, il Presidente dell’Associazione dei Produttori Agricoli Ossolani Pier Franco Midali e il Presidente della Provincia Stefano Costa.
Ottime notizie per le scuole del territorio, sono in arrivo finanziamenti importanti, erogati direttamente dallo Stato, per interventi che riguardano gli edifici scolastici.
In tutto stiamo parlando di 10, 5 milioni di euro che saranno spesi nei prossimi tre anni per l’ammodernamento delle scuole dell’area montana del Vco, in particolare a:
Druogno (313.641,64); Baveno (800.000); Anzola Ossola (232.118,05); Pieve Vergonte (800.000); Vogogna (233.560,45); Villette (41.517,35); Domodossola (2.399.499); Cesara (160.525); Montecrestese (420.000); Beura Cardezza (66.424,24); Crevoladossola (671.560); Masera (240.000); Ornavasso (52.390,78); Cambiasca (104.800), Verbania (29.204,29).
Tutti gli interventi citati sono i più urgenti che riguardano quindi il 2015, annualità che ha quindi un importo complessivo di 6.565.242,11 euro.
Ma il piano triennale prevede finanziamenti anche per il 2016 e il 2017, come di seguito elencati: Baceno (800.000); Calasca Castiglione (31.294,21); Villadossola (46.696,42), Verbania (350.000); Omegna (per il tramite della Provincia, 800.000); Domodossola (per il tramite della Provincia, 800.000); Verbania (per il tramite della Provincia, 800.00); Arizzano (281.990).
Per un totale complessivo di interventi sul territorio del VCO di 10.475.233 € su 202.297.231,71 attribuiti alla Regione Piemonte: “I fondi stanziati dal Governo italiano, e assegnati ai comuni dalla Regione Piemonte, sono una risposta concreta alle esigenze del territorio, e arrivano in un periodo difficile per la nostra economia e per la scuola .– commenta Enrico Borghi, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Ambiente, Lavori Pubblici e Territorio della Camera – si tratta di finanziamenti fondamentali per garantire una scuola più efficiente e sicura, senza dimenticare che saranno anche un volano per il rilancio dell’economia territoriale. Mi preme anche sottolineare che questo tipo di finanziamento non andrà a rincarare il rischio di sforamento del patto di stabilità, una richiesta più volte avanzata dai sindaci e su cui il governo ha posto particolare attenzione.
Troppo spesso gli edifici scolastici sono alla ribalta della cronaca per avvenimenti gravi come crolli strutturali o mancanza dei servizi base – ha continuato Borghi– con questo intervento del governo invece, le scuole potranno essere ammodernate ed efficientate. In questo processo di miglioramento non è stata esclusa l’area montana del Vco, che invece entra in graduatoria con una folta presenza di Comuni e con una percentuale sull’intero Piemonte superiore rispetto al rapporto tradizionale sulla popolazione. Segno evidente che questo finanziamento era un’esigenza non più prescindibile per le scuole del nostro territorio. Continua quindi a dimostrarsi in modo concreto l’impegno del governo nel campo dell’edilizia scolastica, un impegno iniziato fin dai primi mesi della legislatura e destinato a continuare anche nei prossimi anni con rinnovato vigore, anche grazie al lavoro di coordinamento e di istruttoria da parte della Regione Piemonte, che per il tramite del vicepresidente Aldo Reschigna intendo ringraziare”.
Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, varato su iniziativa legislativa del Parlamento, stabilisce che le Regioni interessate possano essere autorizzate a stipulare appositi mutui di durata trentennale con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato (purchè fatti con la Banca europea per gli investimenti, con la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa o con la società Cassa depositi e prestiti) e senza che le somme finanziate vadano a incidere sullo sforamento del patto di stabilità. Gli interventi riguarderanno lavori straordinari di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento sismico, efficientamento energetico di immobili di proprietà pubblica adibiti all’istruzione scolastica, nonché la costruzione di nuovi edifici scolastici pubblici e la realizzazione di palestre scolastiche nelle scuole o di interventi volti al miglioramento delle palestre scolastiche esistenti. Insomma, tutti interventi urgentissimi che in molti casi non possono più essere rimandati. Il tutto è inserito nel Piano Triennale e Annuale del fabbisogno 2015-2017 appena approvati in Regione Piemonte.
Contributo dell’onorevole Enrico Borghi.
Alla vigilia dell’approvazione della nuova legge elettorale si sono moltiplicate le preoccupazioni nei confronti di una riforma che, combinata con la riforma costituzionale che trasforma il Senato, viene presentata come un rischio potenziale per la democrazia nel nostro Paese. E questo espediente retorico viene sollevato per giustificare il voto contrario, anche da settori importanti del Partito Democratico.
A mio giudizio, ed è’ il principale motivo per il quale esprimerò voto favorevole alla riforma (oltre che per il rispetto ad una comunità politica che ha deliberato tale decisione dopo mesi di discussioni) il cardine della riforma va invece in direzione opposta. La sua base fondamentale, infatti, sta nella volontà di attribuire al voto del cittadino il potere non solo di scegliere il partito e i suoi rappresentanti in Parlamento, ma anche il potere di indirizzo politico al futuro governo, conferendo alla scelta del cittadino – qualora condivisa dalla maggior parte dell’elettorato – la forza parlamentare sufficiente a sostenere un esecutivo solido e stabile.
Non si è’ ragionato a sufficienza, in questi giorni, sul problema cronico del sistema politico italiano: la instabilità dei suoi governi. Non vi è altro Paese nell’Unione Europea che abbia conosciuto nella sua storia democratica un tale frenetico avvicendarsi (63 governi nei 70 anni dal 1945 al 2015). Tale cronica debolezza non incide solo sulla forza del potere esecutivo, ma più profondamente sul potere del cittadino o, nel suo insieme, sul potere del popolo di imprimere alla politica un indirizzo, una “direzione”.
Pensare di dare stabilità al governo affidando ai partiti il compito di comporre delle alleanze in Parlamento è un errore storico: per decenni in Italia abbiamo affidato ai partiti (e partiti assai più stabili e strutturati di quelli attuali) questo compito e il risultato è quello che abbiamo ricordato, ossia una perenne instabilità.
Nella Prima Repubblica i partiti svolgevano una funzione “trascendente” rispetto alle istituzioni, perché era in essi che si compivano tutti i processi, sia quelli decisionali che di selezione della classe dirigente. Oggi questa funzione non e’ più riconosciuta, perché i partiti non hanno più la sussunzione nel proprio interno di pezzi di società. E tutto va quindi, in diretta, dentro le istituzioni . Perché, dunque sottrarre ai cittadini questo potere in una prospettiva che si vuole “democratica”, per rimanere confinati -per dirla alla Scoppola- dentro il perimetro di una “Repubblica dei partiti” che non c’è’ più ?
Nel solco dell’Ulivo (e di Ruffilli)
Questa domanda non è di oggi, ne’ inedita. All’inizio degli anni ’80, in corrispondenza con una forte crisi dei partiti, si ritenne che per rafforzare il potere del cittadino di dare al proprio governo un “indirizzo” politico con il proprio voto vi fossero solo due strade: la strada presidenzialista/semipresidenzialista e la strada di un rafforzamento del premierato entro la forma di una democrazia parlamentare.
Si ritenne allora – e in molti lo ritengono anche adesso – che la prima strada in Italia potesse essere soggetta a qualche rischio: in un Paese fortemente diviso, e democraticamente giovane, era opportuno che accanto a un governo espressione di una “parte” continuasse ad esservi una figura “terza” come il Presidente della Repubblica, capace di rappresentare l’unità nazionale e di svolgere nel caso di crisi – peraltro, come si è detto, continue – il ruolo di garante della Costituzione.
Dunque il rafforzamento del premierato, come alcuni sostengono, non rappresenta affatto lo scivolamento verso una deriva presidenzialistica, ma il suo contrario: l’alternativa al presidenzialismo dentro il permanere della forma parlamentare.Tertium non datur. Perché oggi, nell’età dell’integrazione europea, voler perpetuare la debolezza del governo – che deve esercitare un fondamentale potere “legislativo” a livello dell’Unione – non significa rafforzare il potere del popolo, ma significa spogliare il popolo del suo potere di governo. E non solo a livello nazionale, ma ancor di più a livello sovranazionale, dove si prendono le decisioni più rilevanti.
Per questo, trent’anni fa nella Commissione Bozzi, una serie di politici e intellettuali (Pasquino, Barbera, Scoppola, Andreatta, De Mita, Ruffilli e altri) trovarono una significativa convergenza sulla necessità di rafforzare il potere del premier agendo sulla legge elettorale e correggendo il sistema proporzionale in senso maggioritario in modo da consentire al cittadino – e non alle trattative tra i partiti – di determinare l’indirizzo politico conferendo al governo una solida maggioranza parlamentare. Si parlò allora di “restituire lo scettro al Principe” (Pasquino) o di trattare il “cittadino come arbitro” (Ruffilli). L’idea di un premio di maggioranza da attribuire a chi supera il 40% o a chi vince un ballottaggio nasce in quell’orizzonte per contrastare la proposta presidenzialista, in un’epoca in cui la personalizzazione della politica era di là da venire.
L’evoluzione del sistema politico italiano negli anni Novanta, ivi compresa la legge Mattarella, va in questa stessa direzione. E così la tesi 1 dell’Ulivo sul “Governo del Primo Ministro”. Si ritiene cioè fondamentale conferire al cittadino la possibilità di scegliere il proprio governo: da questo momento in poi le competizioni elettorali si svolgono tra parti politiche guidate da leader che incarnano schieramenti alternativi e che chiedono agli elettori il consenso. Berlusconi, Prodi, Rutelli, Veltroni, Bersani – sia con il Matterellum, che con il Porcellum – stanno dentro tutti questo schema che nessuno nel centrosinistra si è mai sognato di mettere in discussione.
Al contrario ci si è sempre preoccupati delle debolezze o delle falle della legge elettorale che, agendo su due Camere diverse,finiva per funzionare male e quindi per produrre maggioranze diverse.
Per questo vi è sempre stata una generale concordia sulla necessità di dare coerenza al sistema elettorale senza tornare indietro di 35 anni quando i partiti si presentavano agli elettori con le mani libere e formavano il governo attraverso complicate trattative dopo il voto. In questa prospettiva togliere al Senato il potere di fiducia e dare coerenza al sistema elettorale era un obiettivo da tutti condiviso all’inizio della legislatura.
Parlamento centrale, ma quale autoritarismo?
Oggi, invece, si fanno più insistenti le critiche di chi vede nel progetto di riforma una deriva presidenzialista o addirittura autoritaria. Ma nel modello proposto non vi è una dipendenza diretta del governo dal voto popolare: rimane in capo al Presidente della Repubblica il potere di conferire l’incarico e al Parlamento il potere di votare o meno la fiducia. Cosa che in caso di crisi consente, come è regolarmente avvenuto, di avere governi che si formano in Parlamento senza passare dal voto, là dove la situazione economica o altre circostanze sconsiglino il ricorso alle urne. Sostenere che con le modifiche della Costituzione e della legge elettorale si passerebbe ad un’altra forma di governo vuol dire non aver letto le carte oppure voler mantenere il nostro Paese in una forma del tutto anomala di democrazia parlamentare che in un sistema sempre più integrato a livello europeo (e noi siamo per una ancora maggiore integrazione europea) condannerebbe non il nostro Governo, ma l’intero nostro Paese a contare poco o nulla, come appunto è avvenuto tante volte in passato.
Con la riforma i poteri del Parlamento rimangono intatti. Qualsiasi sia l’esito delle elezioni, il Parlamento rimane sovrano e può far cadere il Governo tutte le volte che vuole, senza essere costretto a dare vita a un nuovo Governo con un meccanismo di sfiducia costruttiva o senza essere costretto a sciogliere se stesso. Altro che strapotere del Governo sul Parlamento! Quanto poi allo spostamento del potere legislativo dal Parlamento al Governo che sarebbe l’inevitabile conseguenza di questa riforma, si guardino i dati: nella XV legislatura (2006-2008) sotto il governo Prodi solo il 10% dei provvedimenti legislativi sono il frutto di iniziativa parlamentare, mentre nella XVI legislatura (2008-2013) sotto i governi Berlusconi e Monti la percentuale sale al 22%. Si tratta dunque di un fenomeno ben più risalente e di dimensione europea, che peraltro ha come sua spiegazione proprio la forma della democrazia parlamentare nella quale il Governo non è l’alter ego del Parlamento (come invece nel Presidenzialismo americano) ma il braccio esecutivo della sua maggioranza. Si tratta piuttosto di riconoscere e valorizzare l’apporto che il Parlamento dà ai provvedimenti anche varati dal Governo attraverso il lavoro delle Commissioni e dell’Aula, quando non vengono messe in atto manovre ostruzionistiche, favorite da un regolamento consociativo da superare. E ancora di potenziare il potere di indirizzo: soprattutto quando il Parlamento deve determinare l’operato del Governo in sede europea (indirizzo oggi affidato ageneriche mozioni). E poi di potenziare il potere di controllo anche attraverso un adeguato riconoscimento del ruolo dell’opposizione , che oggi, finalmente, trova spazio nella riforma costituzionale.
E, in ogni caso, più che il problema del premio alla lista o alla coalizione, il tema pare quello del trasformismo parlamentare: se non si cambiano i regolamenti parlamentari, dopo le elezioni sarà sempre possibile e magari anche conveniente uscire dal gruppo sotto il cui simbolo si è stati eletti e dare vita a un altro gruppo. Se la maggioranza parlamentare ha 340 deputati e il quorum alla Camera è 316, basta un gruppo di 30 deputati per mettere sotto il governo !
Il nodo e’ l’articolo 49 della Costituzione
Non servono solo buone regole, insomma; servono buoni soggetti e dunque il problema è quello dei partiti. Occorre fare ogni sforzo per avere dei partiti democratici, trasparenti, plurali ma coesi, non luoghi di incursione di gruppi,lobbies o peggio. In questo quadro va collocata l’ultima questione,quella delle preferenze. Naturalmente il tema è la libertà di scelta dell’elettore dei propri rappresentanti. Bisogna però riconoscere che tale tema non può che declinarsi attraverso la mediazione di partiti o gruppi organizzati. Nessun cittadino in nessun sistema elettorale può votare chi gli pare. Si vota sempre un nominativo proposto da un partito o da un insieme di cittadini. Dunque i partiti – o loro analoghi – hanno il compito comunque di selezionare una possibile classe dirigente, di selezionare 1, 2, 5 o 30 nomi da sottoporre al vaglio degli elettori. Anche con le preferenze esiste un potere del partito di escludere qualcuno da una lista o di metterlo capolista o di favorirlo mandandolo in televisione o sostenendolo in altro modo. Non ci giriamo attorno. La responsabilità della selezione non si può scaricare sugli elettori: sono i partiti a fare la proposta e spesso a orientare il voto.
E qui sta certamente la debolezza del sistema Italia. Una debolezza complessiva non solo dei partiti. Siamo in una stagione in cui il nostro Paese è in affanno: non riusciamo a trovare un sistema sensato di selezione della classe dirigente: insegnanti, studenti, dirigenti scolastici, primari di medicina, professori universitari, manager pubblici. Insomma, in ogni settore pubblico in cui si tratta di operare delle selezioni continuiamo a cambiare i meccanismi, ricorriamo tutti al Tar, riempiamo le pagine dei giornali di ogni possibile scandalo. Insomma odiamo la classe dirigente. Odiamo il fatto che ve ne sia una. E quindi non ci importa selezionarla. Ci basta distruggerla o renderla impotente. Sarebbe simpatico come meccanismo se non avesse in alcuni settori (scuola, università, pubblica amministrazione e sanità ad esempio) effetti devastanti sulla vita del cittadino. Nel caso della classe politica forse è meno grave, ma dato che siamo in un sistema integrato europeo, la debolezza della nostra classe dirigente in quella sede ha anch’essa effetti negativi.
Dunque a qualsiasi sistema si ricorra, i partiti devono riprendersi la capacità e la responsabilità di proporre una classe dirigente degna di questo nome. Il Pd si è inventato le primarie e certo sono uno strumento formidabile. Non esente però da possibilità di inquinamento e comunque da sé non sufficiente a garantire una scelta che privilegi, almeno in parte, le competenze. In questo senso l’ipotesi di avere un mix di parlamentari scelti dal partito e di parlamentari scelti dagli elettori non sarà la migliore del mondo, ma ha un senso in linea di principio. Se poi nella realtà i partiti la vorranno usare per il meglio o invece come luogo di spartizione tra le tribù di fedeli all’uno o all’altro capo, è un’altra faccenda. Dopo la riforma costituzionale e la riforma elettorale, bisognerà finalmente dare corpo alla riforma dei partiti e imboccare con decisione l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, per dire come si fa oggi a declinare in maniera moderna in principio con il quale un partito e’ il modo per concorrere in forma democratica alla vita politica di una nazione. E anche su questo piano, speriamo che una più forte integrazione europea ci aiuti.
L’On. Enrico Borghi ha presentato questo pomeriggio una interrogazione parlamentare al Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni per fare chiarezza sulla situazione legata al rinnovo dei permessi di lavoro e di dimora in territorio elvetico dei cittadini italiani.
Da aprile, infatti, è stato introdotto l’obbligo di presentare, contestualmente alla richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso, il certificato penale del casellario giudiziario.
Nelle ultime settimane le autorità elvetiche hanno richiesto anche il certificato dei carichi pendenti, una procedura gravosa per i lavoratori frontalieri e per i cittadini italiani che per vari motivi dimorano in territorio svizzero.
“Ho investito direttamente il Ministro Gentiloni affinchè il Governo possa intervenire in questa situazione che appare un ingiustificato accanimento nei confronti dei cittadini e lavoratori frontalieri
italiani – commenta il parlamentare del Partito Democratico – in particolare ho chiesto che venga fatta una verifica formale se tali procedure siano conformi con quanto previsto dai trattati vigenti tra i nostri due Paesi”
“Visto l’atteggiamento ostile tenuto negli ultimi anni nei confronti dei nostri concittadini che lavorano in Svizzera – continua Borghi – non vorrei che questo evento sia l’ennesimo tentativo di complicare la vita ai nostri onesti lavoratori che, occorre sottolinearlo e ribadirlo con forza, negli anni non hanno mai creato nessun tipo di problema che possa giustificare un accanimento tale nei loro confronti”
“Sono sicuro che il Ministro Gentiloni – conclude il parlamentare ossolano – saprà intervenire direttamente nei confronti delle autorità elvetiche affinchè tali spiacevoli episodi possano non verificarsi più”