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Vegogna, vergogna!

Nelle stesse ore in cui il governo si inventa che annullando i consiglieri comunali nei piccoli comuni si risparmiano 8,5 miliardi (consiglierei l’etilometro per Calderoli dopo questa affermazioni) apprendiamo che il ministro Fitto (si’, lui, quello che ha la delega alla montagna da tre anni e mezzo e l’ha sistematicamente spogliata in nome della sobrieta’) si e’ reso protagonista di uno stanziamento straordinario di 46 milioni di euro a fondo perduto a favore del Comune di Palermo per coprire il “buco” di una municipalizzata che ha come unica funzione il mantenere a libro paga 2 mila precari. Insomma, solita logica: si taglia (soprattutto al Nord) a chi da anni si spacca la schiena per far tornare i conti, e si regala (sempre ai soliti) a chi da anni sperpera allegramente. Palermo in nove anni ha avuto 850 milioni di contributi a fondo perso, inghiottiti nel clientelismo che Calderoli, Fitto e soci a chiacchiere dicono di voler combattere. “‘Na faticaccia” dicono sia stato il commento via sms di Fitto al sindaco di Palermo per commentare l’avvenuto stanziamento. Ecco, caro Raffaele, visto che sei affaticato e hai perso di lucidita’, fai una cosa tu e il tuo amico Calderoli: toglietevi di torno, e andate a riposarvi. E, gia’ che ci siete, vergognatevi anche un po’!!!

Enrico Borghi

SANITA’: UNA VICENDA POLITICA, UNA FACCENDA DEMOCRATICA

Intervento di Enrico Borghi sul tema sanità.
La vicenda della sanità nel Verbano Cusio Ossola non è una questione tecnica, da consegnare al cesello ragionieristico di veri o supposti esperti di riorganizzazione aziendale ospedaliera.
Essa è vicenda politica. Anzi: geopolitica. Perché tiene insieme, lega e indissolubilmente mischia aspetti che travalicano il merito della questione, per affrontare il futuro di una comunità territoriale e il destino di realtà geografiche montane che hanno conosciuto nel corso dell’ultimo quindicennio un costante e, all’apparenza, inesorabile processo di depauperamento delle opportunità e di regressione dei diritti di cittadinanza.
E dentro a questa cornice, essendo una questione politica, si disegna anche un nuovo modo di concepire e articolare lo stesso esercizio democratico del potere.
Se non si capisce questo, o se si vuol far finta di non capire questo, inevitabilmente si colloca la vicenda lungo un piano inclinato in cui la disintegrazione del collante sociale e territoriale su cui ha retto per un quindicennio (alquanto fragilmente, in verità) il territorio del Verbano Cusio Ossola appare essere l’approdo finale.

Il San Biagio, l’ethnos ossolano
L’Ospedale San Biagio costituisce, non da oggi, il coagulo del sentimento identitario degli Ossolani.
Per motivi che meriterebbe approfonditi studi delle scienze sociali, su di esso nel corso di vent’anni si sono sedimentate le ansie, le speranze, le preoccupazioni di una popolazione che non ha ancora metabolizzato il passaggio dalla società industriale e chiusa del Novecento a quella liquida e globale del Duemila. Un passaggio che è stata la fine di antiche certezze (il posto fisso nel pubblico, la fabbrica che accoglieva operai e quadri, il commercio che fioriva nel capoluogo ossolano, una microsocietà di servizi fatta di spedizionieri, impiegati, finanzieri spazzata via dalla fine della frontiera) a cui non si sono sostituite nuove opportunità. Ma, al contrario, a cui si sono sostituite nuove incertezze, proprio nell’era in cui la “belle epoque” della globalizzazione rendeva più ricca tutta la pianura padana. Circostanza che ha fatto rifulgere antiche ingiustizie, tra le quali l’assoluta colonizzazione della Val d’Ossola che produce più energia idroelettrica di Lombardia e Veneto messe insieme ma che vede solo briciole sempre più rinsecchite in cambio di questo straordinario contributo allo sviluppo nazionale.
Sta dentro questa dicotomia il motivo per il quale questo “mondo minore” si è andato progressivamente scollando dalle istituzioni, dai partiti, dai sindacati, e si è cercato –spesso confusamente- un approdo diverso, a metà strada tra un impossibile ritorno indietro e un ingresso “mediato” nel mondo globale. A questa nuova “gens ossolana”, alle sue rabbie e ai suoi spaesamenti, la Lega Nord ha offerto mitologie, e il berlusconismo illusioni e megafoni.
Mentre la sinistra ignorava semplicemente questa mutazione genetica, spesso rinserrandosi anch’essa nella placenta delle sue antiche liturgie ormai consunte, la destra dava fiato a una sorta di identità mutante e bifronte dell’Ossola a cavallo dei millenni. Un’identità insicura e ansiogena, radicata e spaesata, solidale e impaurita al tempo stesso.
L’Ospedale San Biagio è diventato il precipitato di questa nuova identità. E’ diventato il luogo dell’ethnos ossolano, nel quale si condensano radici e prospettiva e sul quale si dimensiona il raccordo tra il passato e il futuro.
E con l’ethnos, con le heimat per dirla alla tedesca, insomma con l’identità c’è poco da scherzare. Perché la storia di questi anni ci insegna che è materia da maneggiare con cura. Quando l’identità diventa fobia ideologica, ci riporta alla tragica strada balcanica.
Eppure, su questo tema in molti –anche in Val d’Ossola- ci hanno giocato e sguazzato, promettendo province autonome, zone franche, aree a totale esenzione fiscale, per soffiare sul fuoco del risentimento e della voglia del rinserramento e incassare copiosi dividendi elettorali ad ogni tornata.
L’impasto Lega-Pdl ha strizzato l’occhio ad un improbabile ritorno a com’era verde la mia valle da un lato, e fatto intendere che bastava appaltare a loro potere e consenso per trarsi fuori dall’impiccio di questo primo scorcio di secolo in cui il destino cinico e baro ha chiuso le società degli spedizionieri, le fabbriche nel fondovalle, il comando della Guardia di Finanza, gli uffici decentrati della vecchia provincia di Novara e ha rattrappito in maniera impressionante la mammella di mamma Enel, un tempo turgida e oggi avvizzita.
Quella politica ha fallito su entrambe le direzioni di marcia, non ha saputo riportare indietro le lancette della storia come imprudentemente aveva lasciato intendere di saper fare e non ha saputo accompagnare questa società impaurita e frastornata dentro la nuova dimensione di una società mutata.
E alla caduta dell’illusione leghista e berlusconiana –testimoniata anche dalla clamorosa vittoria di Mariano Cattrini alla guida di Domodossola- la gens oscellae, che aveva appaltato ad essa una prospettiva dimostratasi fallace, si è guardata intorno e si è trovata, una volta di più, il baluardo al quale aggrapparsi: l’ospedale san Biagio.
E’ dunque così difficile capire perché, ancora una volta come nell’agosto del 2002 e senza che nessuna centrale organizzativa “tradizionale” si sia mossa, al grido di “giù le mani dal San Biagio” migliaia di ossolani si siano ancora una volta ritrovati a sfilare per le vie di Domodossola, con una partecipazione popolare spontanea e sentita per ritrovare la cui intensità bisogna probabilmente riandare ai tempi a cavallo dell’ultima guerra?

Una nuova domanda di politica
C’è un’ulteriore considerazione da fare su questa vicenda, a mio avviso innescata cinicamente –come nel 2002- per giungere al dozzinale baratto ora proposto :“a te il materno infantile e a me l’emodinamica”.
Veniamo accusati, noi sindaci del “documento 28 luglio” di essere asserviti alla piazza, soggiogati dalle nuove Masanielle delle valli e addirittura apprendisti stregoni che soffiano sul fuoco della demagogia populista. Tralasciamo pure il fatto che tra i pontefici di queste tesi vi è chi deve tutta la propria carriera politica ai collegi blindati, alle liste bloccate e al ferreo controllo del partito di appartenenza e della sua filiera di potere connessa, e che quindi fatica a capire che la democrazia è potere che sale dal basso e non che si impone dall’alto.
Ma si fa così fatica a capire che, in realtà, oggi in Ossola c’è una nuova domanda di partecipazione democratica? E’ così complicato leggere in quello che succede la spinta di una società che vuole esserci, non si rassegna, e che in maniera confusa e spesso contraddittoria chiede comunque alla politica due cose a cui essa non sembra essere più abituata, e cioè l’ascolto e la capacità di rappresentare dal basso anziché imporre dall’alto?
Se alle mamme col pancione del presidio (così come ai genitori dei disabili cui viene tolta l’assistenza, o ai cassintegrati che vedono chiudere lo stabilimento o ai frontalieri che vengono dileggiati oltreconfine) la politica non sa rispondere nient’altro che una scrollata di spalle o addirittura, come pretende il sindaco di Verbania, il “credere obbedire combattere” in cui il compito del sindaco è quello di “spiegare a chi contesta che così non si può andare avanti” (senza naturalmente dire dove bisogna andare nel frattempo!), allora si che quella “cosa” diventerà folla che diventerà piazza che spazzerà via una politica che viene vissuta solo come casta, politici nominati e autorefenziali e quindi ormai delegittimati.
Se fossi in Cota, anziché insistere in maniera puerile su una tesi insostenibile (se Domodossola è come la Thyssen perché sta sotto i 500 parti annui lo sono anche numerosi altri ospedali in Piemonte dove il metro di misura è evidentemente diverso…) ringrazierei quei Sindaci che l’altra sera, con grande sobrietà e senza alcun cedimento alla tentazione di accarezzare la tigre per il verso del pelo, hanno dimostrato che le istituzioni sono ancora ascolto, comprensione e rappresentanza. Perché se salta la diga della credibilità dei cittadini nei confronti delle istituzioni, l’acqua che ne esce spazza via tutto il sistema.
Da come la politica e le istituzioni locali sapranno governare questa vicenda dipendono tante cose. Dipende certamente il futuro della qualità della vita degli ossolani, e il fatto di essere considerati cittadini al pari di altri, attraverso l’esercizio del diritto alla salute. Dipende anche il futuro della Provincia del Verbano Cusio Ossola, compressa dentro una torsione che -tra spinte accorpatrici nazionali e pulsioni liquidatorie interne- rischia di far sublimare la sua attuale evanescenza in definitiva evaporazione. Ma ne va anche della nostra democrazia, in questi tempi –per dirla alla Salvadori- di “democrazie senza democrazia”.

Due modelli in campo
Sul campo oggi, in realtà, ci sono due modelli: quello del “diritto che precede” e quello del “diritto che procede”. Il diritto che precede è quello che nasce da istituzioni che si impongono dall’alto, ritengono che la loro capacità illuminista e razionalizzatrice sia la verità rivelata e non celano il fastidio davanti ad ogni dissenso, interpretato come indice di incapacità di comprendere o addirittura come insubordinazione. E’ la politica che vuole imporre, perché appunto precede il popolo.
Il “diritto che procede” è quello che nasce da istituzioni che nascono dal basso, ascoltano e rappresentano le proprie comunità e uniformano le proprie decisioni alla sintesi delle esigenze popolari, cercando il bene comune. E’ la politica che vuole accompagnare, perché segue e se del caso indirizza il popolo.
I Sindaci dell’Ossola hanno cercato di farsi interpreti del “diritto che procede”. La Regione Piemonte (e i suoi corifei locali, a cominciare dal sindaco di Verbania) sono splendidi interpreti del “diritto che precede”. Orizzontali e sussidiari i primi, verticali e gerarchici i secondi.
Già Tocqueville, nella “Democrazia in America” ci ricordava che il decentramento amministrativo, e quindi i Comuni che ne sono la prima forma istituzionale, è la prima garanzia di libertà in una società democratica, mentre l’accentramento è per sua natura autoritario e può essere un punto di partenza per il dispotismo. Inutile dire quale modello preferisco, che a mio avviso è anche quello corretto per tirar fuori questo territorio dal ginepraio nel quale è finito.
Ma se si preferisce essere più prosaici, sarebbe bene ricordarsi della prima scena del film “Giù la testa” di Sergio Leone, in cui un gruppo di aristocratici messicani su una diligenza svillaneggiano un peone messicano bifolco e ignorante ritenendosi superiori e più civili, finchè il peone e i suoi figli non mettono mano alle pistole e si impossessano della diligenza lasciando gli altezzosi nobili legati ad un cactus del deserto come mamma li fece.
Bene: non so se a Torino e dintorni qualcuno si senta come quegli aristocratici messicani, come pure a volte sembra lasciar trasparire qualche atteggiamento. Una cosa è certa: in Ossola si sono stancati di essere considerati dei peones beoti!

LA NUOVA FINANZIARIA METTE IN GINOCCHIO GLI ENTI LOCALI DEL VCO. “SEN. MONTANI E ZANETTA, ON. ZACCHERA FATE UN GESTO VERAMENTE FEDERALISTA: VOTATE CONTRO!”

Non si trovano più parole per qualificare l’azione di questo governo nei confronti degli enti locali.
Dal giorno del suo insediamento il governo Berlusconi ha da una parte dato avvio alla riforma sul federalismo fiscale, dall’altra, finanziaria dopo finanziaria, tutte a colpi di decreti e di voti di fiducia, si sono tagliati brutalmente i trasferimenti a Regioni, Province e Comuni che, ovviamente, sono ora in “rivolta”.
Stop a tutti gli incontri con il governo e le attività per l’attuazione del federalismo fiscale, “sciopero” dei sindaci nelle conferenze e richiesta immediata di una convocazione della Conferenza Unificata. E’ questo l’esito dell’ufficio di presidenza dell’Anci, riunitosi stamane e al quale ha partecipato anche il presidente dell’Uncem Enrico Borghi.
Dall’analisi del provvedimento varato dal governo, relativamente alle disposizioni di maggiore interesse per i Piccoli Comuni è emersa con chiarezza l’insostenibilità della manovra.
Le più pesanti ripercussioni sui comuni, infatti, sono il taglio del 35% del fondo di riequilibrio nel triennio (che rischia di colpire al cuore moltissimi comuni montani), un’ulteriore stretta sul patto di stabilità, la reintroduzione dell’obbligo di alienazione delle società partecipate sotto i 30.000 abitanti (che in montagna mette a rischio soprattutto le società pubbliche di gestione degli impianti di risalità e funiviarie e obbliga i comuni a vendere le proprie società patrimoniali).
Conseguenze previste anche nel comparto scuola in montagna, con la eliminazione del parametro di 300 alunni per istituto scolastico comprensivo previsto dalla legge sulla montagna 97/94 e l’innalzamento o a 500 alunni per assicurarsi l’autonomia scolastica.
A ciò si aggiunga la notizia di queste ultime ore, e cioè il fatto che il governo non ha dato seguito all’impegno assunto in Conferenza Stato-città del 31 giugno, facendo saltare la norma cosidetta “salva cassa” che assicurava i trasferimenti delle competenze spettanti ai Comuni ancora bloccate al Ministero dell’Interno, circostanza che rischia di compromettere l’equilibrio finanziario di molti enti.
“Si stanno creando pesantissime ripercussioni sul sistema dei Comuni – osserva Enrico Borghi e se la manovra non verrà modificata la conseguenza è lo strozzamento di moltissimi piccoli Comuni, soprattutto in montagna dove il fondo perequativo è essenziale per evidenti motivi. Abbiamo chiesto l’immediata convocazione della Conferenza Unificata con il ministro Tremonti, perchè il governo si deve rendere conto delle conseguenze pesanti per i cittadini che tali provvedimenti arrecherebbero. Non ci tiriamo certo indietro dall’esigenza di contribuire al risanamento del paese, ma serve proporzionalità e non lo scarico delle responsabilità sugli enti locali come accade con queste misure, alcune delle quali -si pensi ad esempio all’obbligo di dismissione delle società comunali- prive di assoluto rilievo contabile per lo Stato“.
Crediamo che in queste condizioni gli enti locali saranno costretti a chiudere e a tagliare servizi essenziali per i cittadini o a mettere nuovi balzelli (come in questi giorni con la tassa di soggiorno).
Questo quadro, conferma che ci troviamo di fronte a scelte centraliste mai viste durante gli ultimi decenni della nostra Repubblica.
Come può la Lega Nord – afferma Antonella Trapani segretario provinciale del PD – continuare a umiliare così i territori, gli amministratori locali, i cittadini? E’ questo il federalismo di cui tanto si sporcano la bocca?
Come possono giustificare le ricadute che la manovra avrà su servizi, sanità, assistenza sociale, trasporto pubblico e sostegno alle imprese, già profondamente toccate dai tagli fatti precedentemente?
Pensiamo alla sanità, se già oggi stiamo giornalmente assistendo ai tagli continui di servizi, di prestazioni, di reparti, di personale, cosa dovremo aspettarci nei prossimi mesi?
Per questo – continua Antonella Trapani, segretario provinciale del PD  – invitiamo i rappresentanti del nostro territorio seduti in parlamento, i Senatori Montani e Zanetta e soprattutto l’on Zacchera, che è anche Sindaco, a mettersi di “traverso” a questa manovra, votando contro questi assurdi tagli.
Sarebbe sì, questo, un gesto veramente federalista. Un voto per aiutare il proprio territorio”.

PD VCO
Ufficio Stampa

Salvaguardare la direzione enel green power.

Qui di seguito pubblichiamo l’interrogazione parlamentare presentata dal vice segretario nazionale del Partito Democratico on. Enrico Letta sulla questione Enel Green Power Domodossola, ed una dichiarazione di Enrico Borghi in merito.
Il vicepresidente Anci e presidente Uncem Enrico Borghi interviene, all’indomani della denuncia avanzata dai sindacati dell’annunciata volontà di Enel Green Power di chiudere la direzione dell’Unità Territoriale di Business di Domodossola e trasferirla a Torino nell’ambito della riorganizzazione aziendale.
“Ancora una volta si tenta di effettuare uno scippo ai danni dei territori montani che producono la ricchezza energetica sostenibile del paese -commenta Enrico Borghi- realizzando un’operazione che sgancia l’azienda dal suo territorio di riferimento e configura un futuro si sostanziale colonizzazione. Nel territorio del Verbano Cusio Ossola Enel Green Power produce energia idroelettrica come in tutta la Lombardia,e quasi il doppio di quella prodotta in tutto il Veneto.
Per di più, gli enti territoriali stanno realizzando importanti investimenti nel campo delle energie rinnovabili che vedono proprio Enel Green Power coinvolto, come nel caso del più grande parco fotovoltaico provinciale realizzato dal Parco Tecnologico del Lago Maggiore a Verbania con una potenza installata di 904 KW e un investimento di circa 3 milioni di euro. In risposta a ciò, si immagina di spostare la direzione dal naturale distretto dell’energia piemontese al capoluogo di regione. Una soluzione in controtendenza, che va assolutamente evitata”.

INTERROGAZIONE

–    Al Ministro dell’Economia
–    Al Ministro dello Sviluppo Economico

PREMESSO CHE

*) a seguito della costituzione della società “Enel Green Power” numerosi assets produttivi originariamente presenti all’interno di Enel Produzione sono confluiti all’interno della nuova realtà aziendale, per la quale si è proceduto anche ad un collocamento azionario presso la Borsa Valori di Milano
*) in funzione di ciò la società medesima sta approntando i primi interventi organizzativi necessari ad assicurare continuità operativa e a porre le basi per i programmi di sviluppo, centrati da un lato su una logica di razionalizzazione e integrazione delle strutture e dall’altro sulla “catena del valore” del business in maniera tale da favorire la realizzazione di importanti piani di sviluppo della capacità produttiva in Italia e all’estero
*) sulla scorta di ciò è intenzione della società modificare l’attuale articolazione territoriale nazionale centrata su tre Unità Territoriali di Business (Bergamo, Domodossola e Napoli) mediante la creazione di sei Unità Territoriali (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna-Toscana-Marche, Lazio-Abruzzo, Centro Sud)
*) nella determinazione delle future sedi delle Unità Territoriali la società sta procedendo alla conferma per quanto attiene alle sedi di Bergamo e di Napoli, alla individuazione delle sedi di Feltre per il Veneto, di Parma per il comparto Emilia Toscana Marche, di Roma Acquoria per quanto attiene al Lazio Abruzzo, mentre per quanto riguarda il Piemonte prevede lo spostamento della sede dall’attuale collocazione di Domodossola a Torino
*) non si comprendono le ragioni dello spostamento della direzione dal luogo principale di business aziendale, se si considera che a fronte di una potenza installata nella Regione Piemonte di 492 MW e una producibilità annua di 1.900 Gwh, il distretto di Domodossola, ovvero l’area territoriale compresa nella Provincia VCO, contribuisce con una potenza installata di 250 MW ed una producibilità di circa 900 Gwh, ovvero il 50% del valore complessivo della produzione Enel Green Power in Piemonte. In valore assoluto la potenza installata di EGP in tale area, è pari quasi a quella della Regione Lombardia (264 MW) e addirittura di gran lunga superiore a quella della Regione Veneto (145 MW).
*) le motivazioni di uno spostamento della sede dell’Unità Territoriale dalla provincia del Verbano Cusio Ossola sono ulteriormente incomprensibili alla luce delle scelte compiute dalla Regione Piemonte e dagli enti territoriali, che hanno configurato il territorio montano del VCO come il “distretto dell’energia” e Polo dell’Innovazione per le energie rinnovabili piemontese, sul quale si stanno realizzando importanti interventi di pianificazione e sviluppo nel settore delle rinnovabili e di investimenti nel business del settore che coinvolgono la stessa Enel Green Power (come ad esempio la realizzazione a cura del Parco Tecnologico del Lago Maggiore del più importante parco fotovoltaico provinciale che avrà una potenza installata di 904 KW su una superficie di circa 10.000 mq, per un valore di circa 3 milioni di € investimenti)
*) uno spostamento di tale sede determinerebbe una regressione sotto il profilo della capacità di governo aziendale e un impoverimento del know how aziendale e territoriale, circostanza che induce a riflettere con grande attenzione in vista delle future scadenze delle concessioni idroelettriche e della necessità della società di attrezzarsi al fine della partecipazione alle future gare;
Tutto ciò premesso, lo scrivente interroga le S.V.per sapere
–    quali iniziative intendano adottare per evitare lo spostamento della sede dell’Unità Territoriale del Piemonte della società “Enel Green Power spa” dalla attuale sede di Domodossola

Roma, 1 aprile 2011

On. Enrico Letta

FEDERALISMO MUNICIPALE. BORGHI (UNCEM): “SERVONO GARANZIE”

“La situazione sul decreto e’ ancora nebbiosa ed e’ necessaria una ulteriore fase di interlocuzione con governo e parlamento”.
Così il presidente dell’UNCEM Enrico Borghi, intervenuto stamane all’ufficio di presidenza Anci, commenta il testo del decreto sul federalismo municipale, condividendo con il presidente Anci Sergio Chiamparino la necessità di intervenire per correggere un sistema che, così com’è, appare inadeguato sotto diversi punti di vista.
“Si e’ compreso – dice Borghi – che la base immobiliare non puo’ essere l’unico pilastro della futura finanza comunale, come da noi richiesto e dimostrato. Restano ancora aspetti non soddisfacenti, e tra tutti la compressione dell’autonomia dei Comuni nella determinazione delle aliquote da un lato e la mancata definizione del fondo perequativo dall’altro. In particolare, su quest’ultimo punto servono garanzie certe e la necessità di precisare le modalità di finanziamento dello stesso, considerato che il fondo è essenziale per quasi tutti i comuni montani”.

Comunicato di Enrico Borghi
Presidente nazionale Uncem

Borghi: «Il Pd apra al Terzo polo»

Enrico Borghi, coordinatore regionale del Piemonte dell’associazione 360 che fa riferimento ad Enrico Letta, sindaco di Vogogna, presidente Uncem e del Tecnoparco del Lago Maggiore, commenta in una nota diffusa ai media la situazione politica italiana all’indomani del voto di fiducia al governo Berlusconi e alle successive iniziative politiche del Terzo Polo e del Pd.
“La sopravvivenza del governo Berlusconi grazie al trasformismo – afferma Borghi -, la nascita ufficiale del Terzo Polo e l’intervista con la quale Pierluigi Bersani disegna la nuova prospettiva del Pd sono i tre fatti essenziali di questa settimana, e probabilmente della legislatura. Sul fatto che da qualche giorno siamo tutti appesi alla volubilità di tali Scilipoti, Razzi e Cesario è meglio non commentare neppure. Sul fatto che il governo si sia salvato grazie alla giravolta di tale Calearo, già capolista Pd in Veneto, conferma che la classe dirigente politica non si improvvisa e non si seleziona con le logiche del casting televisivo.
Più interessante invece la nascita ufficiale di una aggregazione centrista di opposizione al governo, e soprattutto il fatto che il segretario del Pd indichi nella collaborazione con il Terzo Polo la prospettiva del Partito Democratico, non per andare contro Berlusconi ma per andare oltre Berlusconi.
In questo senso il Pd potrà ritrovare il suo spirito originario di partito innovatore e plurale, e costruire proposte di governo coerenti sui profili istituzionali, economici e di politica estera che sono ii pilastri di qualunque esperienza di governo.
La costruzione del dopo Berlusconi nasce da qui, dalla capacità di mettere in campo le nostre idee e le nostre proposte di cambiamento, e costruire con interlocutori adeguati come il Terzo Polo il programma di cambiamento di cui l’Italia necessita.
Un cambiamento fondato sull’uscita dell’Italia delle contrapposizioni ideologiche e dalle camicie di forza degli schieramenti, e che metta al centro le questioni reali: rilancio dell’economia, futuro dei giovani, competitività delle aziende, riforma delle istituzioni e conseguente diminuzione della spesa pubblica.In tal senso, la collaborazione con il Terzo Polo si può già iniziare a sperimentare nelle elezioni amministrative che sono alle viste tra pochi mesi.”