Archivi tag: Borghi

Discutere è doveroso

image“Dobbiamo discutere seriamente se le comunità montane vanno mantenute oppure se non sia opportuno che anche quelle competenze siano affidate alla Provincia. Se si vuole difendere la nostra provincia e garantire lo sviluppo del territorio facciamola diventare veramente montana.”
Leggo questa frase all’interno del documento “il partito del NOI” che un gruppo di amici e compagni ha predisposto e sottoscritto in occasione del prossimo congresso provinciale del PD fissato per l’inizio di ottobre. Ho saputo che questa frase è stata considerata da taluni una forzatura improponibile, una contraddittoria liquidazione della legge che la Giunta Bresso ha approvato con la profonda riforma delle Comunità Montane in Piemonte. In particolare tale giudizio verrebbe espresso in primo luogo da Enrico Borghi che è il Presidente nazionale dell’UNCEM, oltre che autorevole esponente locale del nostro partito.
Personalmente sono invece d’accordo sulla necessità di riaprire la discussione su questo tema e cerco qui di argomentare la mia opinione. (segue)
 In questi mesi, dopo l’approvazione di quella legge, si sono verificati una serie di circostanze o comunque sono venuti in chiaro alcuni intendimenti ben precisi e ormai consolidati:
–    lo Stato ha sostanzialmente abolito i contributi a favore delle Comunità Montane;
–    a livello locale l’ATO ha deciso di ridurre stabilmente il ristorno delle tariffe dell’acqua dal 5% originario al 3% (quasi 1.000.000 di euro all’anno in meno per il VCO); siamo distanti anni luce dagli ipotizzati 10 milioni di Euro all’anno citati dal Presidente Regionale dell’ UNCEM Lido Riba nel corso del recente dibattito svoltosi alla Festa della Montagna alla Lucciola;
–    non ha trovato per ora riscontro legislativo il tema dell’abolizione delle Province o dell’ accorpamento delle Province piccole, ma rimane aperto il dibattito sul loro ruolo; nel contempo, norme già approvate ipotizzano proprio per le Province nuove competenze in varie materie, tra cui l’acqua e i rifiuti;
–    per le Province montane (il VCO con Sondrio e Belluno e forse qualche altra) viene posta con forza l’idea che possano avere in futuro titolo per compartecipare alla gestione di risorse peculiari come l’energia idroelettrica prodotta in loco.
Inoltre, non è per nulla sopito uno degli aspetti che determinano nell’opinione pubblica un profondo distacco verso i partiti e soprattutto per “i politici” e cioè la sensazione che i costi della politica siano troppo alti e che sia opportuno ridurre gli enti, ridefinendone le funzioni. Non è solo demagogia, è anche un’esigenza oggettiva non solo per ridurre i costi, ma anche per evitare sovrapposizioni di funzioni e per garantire maggiore efficienza ed efficacia.
Di fronte a questa situazione, le nuove Comunità Montane si trovano – oggettivamente e indipendentemente da chi le amministra pro tempore – di fronte ad una enorme sproporzione tra le risorse a disposizione (molto scarse) e le ipotetiche importanti funzioni che la nuova legge affida loro (non solo unioni di comuni per esercitare in maniera consortile funzioni non più gestibili a livello di singoli municipalità, ma addirittura agenzie per lo sviluppo del territorio). La realtà è che i Bilanci a disposizioni servono a mala pena a gestire stipendi, indennità e ordinarissima amministrazione.
Dobbiamo allora buttare a mare tutte le Comunità Montane e, insieme a loro, lo sforzo positivo di razionalizzazione che la Regione di centro sinistra ha messo in campo?
Credo che sia possibile ragionare, senza alcun tabù. Penso sia possibile individuare una architettura degli enti locali che non debba per forza di cose essere univoca e uguale in tutte le situazioni. Vorrei avanzare una proposta, come si dice, a geometria variabile, che peraltro riassume idee e valutazioni che sono già emerse nei dibattiti su questi temi:
–    le Province nelle aree metropolitane vanno abolite suddividendo le funzioni tra Comune capoluogo e la stessa Regione (era esattamente la tesi del centro sinistra per le elezioni politiche);
–    le Province piccole, non prevalentemente montane, vanno accorpate (per fare un esempio concreto penso a Novara, Vercelli e Biella), affidando loro nuove competenze in varie materie ora gestite centralmente dalle Regioni;
–    le Province prevalentemente montane (che sono anche piccole Province in termini di popolazione) mantengono la loro autonomia assumendo non solo le funzioni delle altre Province, ma compiti aggiuntivi (quelli delle Comunità Montane, salvo specifiche funzioni intercomunali) e rivendicano giustamente la compartecipazione a quelle risorse (energetiche in particolare)  che caratterizzano i loro territori; per garantirsi appunto quelle indispensabili risorse supplementari rispetto ai costi “non standard” dei servizi e della gestione delle opere pubbliche in territori montani;
–    le Comunità Montane rimangono tali nelle Province non prevalentemente montane per occuparsi di quanto la legge regionale ha conferito loro (riprendendo il mio esempio precedente, penso alla Valsesia e al retroterra montano di Biella).

Discutere di queste proposte, anche in sede di congressi locali del PD, mi pare che sia non solo legittimo e doveroso, ma che potrebbe configurare un salto di qualità nei confronti dei cittadini e degli amministratori che si aspettano qualcosa in più del semplice rivendicazionismo o della conservazione dell’esistente. Credo che potrebbe essere anche un proficuo terreno di proposta per l’UNCEM.

Gianni Desanti, componente la Segreteria Provinciale del PD

Il Pd che vorrei è il Pd di tutti

image Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Marco Travaglini sulla situazione politica, il PD e la sua fase congressuale.
l’ultimo congresso ci ha visti compiere la scelta del segretario e della linea politica del Pd. A Ottobre andremo ad una verifica che dovrà consentirci di “registrare” il nostro partito ad ogni livello. In questi mesi abbiamo faticato molto nel tentativo di convincere gli italiani che noi si possa rappresentare un’alternativa seria e credibile al governo di centrodestra, capace di guidare il Paese fuori da una crisi economica che, dopo aver distrutto i risparmi di milioni di italiani, bruciato posti di lavoro e speranze d’occupazione, ha colpito le famiglie e la stessa coesione sociale.
Tutto ciò nonostante l’evidente crisi della destra, la rottura tra Fini e Berlusconi e la pochezza dei risultati della compagine governativa. Il progetto di un grande centrosinistra, utile al Paese, unito e determinato nel sostenere le proprie proposte e idee , e plurale nella capacità di rappresentare politicamente persone e interessi diversi, è – per molti versi – una realtà ancora a venire. Ma non per questo si deve rinunciare a costruirlo nei fatti di tutti i giorni . Il Partito Democratico è parso troppo timoroso, reticente e rinchiuso in se per offrirsi come un luogo politico da frequentare per coloro che pensano all’alternativa al centrodestra. C’è chi parla di afasia. In molti lo pensano, non senza ragione.
“Siamo diventati il partito delle tavole rotonde, ma siamo assenti dai drammi collettivi”, sostenne Riccardo Lombardi nel suo ultimo intervento ( era il 30 giugno del 1984 ) al comitato centrale socialista dell’Ergife, a Roma. Un rischio da quale non siamo immuni ma che può essere evitato. Come? Ritrovando la via dell’ascolto (dentro e fuori al Pd), con e tra i cittadini, ricercando costantemente l’intesa possibile e il reciproco sostegno con tutti coloro che possono far crescere il centrosinistra era, ed è, l’obiettivo della linea politica che ci siamo dati.
Con la convinzione che ,per rilanciare l’Italia, sia necessario redistribuire ricchezza, lavoro e promuovere il merito e la responsabilità sociale. Anche da noi, nel VCO, dove molte delle questioni generali trovano un’articolazione persino originale ( penso al tema della green economy, alla difesa del suolo pubblico, alle politiche economiche su energia, turismo e terziario: questioni su cui esistono proposte e visioni interessanti).
Perché arranchiamo nel rendere evidenti agli occhi dei cittadini ( il VCO del VCO non è diverso dal resto del paese, sotto questo punto di vista) i contenuti di una politica alternativa? Su alcuni temi bisogna avere il coraggio di decidere una posizione più chiara ma rifiuto la semplificazione che tende ad accreditare il fatto che ci siano in giro poche idee, per di più confuse. E’ semplice, e consolatorio, il ritornello che il Pd è inadeguato, non sa decidere, usa un linguaggio incomprensibile, è autoreferenziale, diviso dalle lotte intestine per un potere ( che tra l’altro è sempre più ristretto e marginale, almeno in territori come il nostro). In tutto ciò c’è un fondo di verità ma non è un “mantra” da recitare per esorcizzare i problemi o imputarne la responsabilità ad altri.
Ho sempre pensato, e penso, al Pd come ad un partito capace di esercitare una funzione “educativa”, quasi pedagogica, per certi versi simile a quella dei grandi partiti di massa ( il PCI, la DC, il PSI ) negli anni della ricostruzione postbellica quando il compito principale era di civilizzare, educare gli italiani alla democrazia, pur nel fuoco di una lotta politica aspra e dura. Allora, e per decenni, il rapporto tra cittadini e istituzioni fu interpretato e filtrato da questi grandi partiti popolari, guidati da dirigenti come Togliatti e De Gasperi.
Oggi la situazione generale impone uno sforzo analogo se non persino superiore. l’insieme della crisi è raccolta attorno ad un grumo che produce scollamento, impotenza e decadenza. E’ in crisi verticale i rapporto tra istituzioni e cittadini, tra il potere e il popolo; è il precipitare dello “spirito pubblico” e della autorevolezza e rappresentatività della Repubblica. Quando l’armatura di un paese si incrina così è difficile aspettarsi buone notizie per l’economia, la crescita, la qualità sociale, la competitività.
Qui sta il senso del “progetto” e dell’utilità del Pd: guardare in modo aperto il paesaggio materiale e morale che la destra ha composto dinnanzi ai nostri occhi e tentare di modificalo con una “visione” alternativa.
Dimostrando concretezza nell’azione politica ma recuperando una capacità di interpretare i fatti e le situazioni in senso più generale. Un tempo, non lontano, si diceva che occorresse “pensare globalmente e agire localmente”. Le stesse riunioni politiche denunciavano un’impostazione e un interesse di più largo respiro: si partiva dall’analisi della situazione internazionale, scendendo per gradi fino alla propria realtà municipale. Oggi il discorso si è rovesciato: si parla dei problemi locali e ci si lamenta dell’ “ignavia” del gruppo dirigente nazionale (tutti, nessuno escluso). Continuare a pensare noi stessi e al futuro della politica ( metodi,scelte, progetti, alleanze) dentro il nostro “recinto”, dovremmo aver capito che è un errore. C’è molto da fare, in coerenza con i progetti più generali. Mi soffermo su alcuni esempi. Per diventare un paese meno diseguale, l’Italia deve dotarsi di una moderna rete di sicurezza sociale capace di sostenere le famiglie e i loro redditi; aiutare i giovani, gli anziani, i non autosufficienti. Tema su cui il Pd qualche idea l’ha fatta vedere e su cui far leva per allargarne la conoscenza. In una prospettiva di riforma dello stato sociale l’obiettivo di innalzare la qualità e la produttività dei servizi deve coincidere, ad esempio, con la tutela dei beni comuni ( penso all’attualissimo tema dell’acqua pubblica che abbiamo discusso più volte). E’ un argomento molto concreto che le istituzioni locali devono affrontare non dal lato dell’occupazione del potere – spesso prescindendo da competenze e capacità – nei consigli d’amministrazione ( come la destra, Pdl e Lega, ha mostrato di saper fare con voracità ) ma sotto il profilo delle scelte d’investimento per ammodernare la rete distributiva dell’acqua, rendere efficiente e diffusa la depurazione ( separando ove possibile le acque bianche da quelle nere, cosa che avviene ancora oggi in minima parte), aumentare la capacità di utilizzo delle risorse idriche sia dal lato della captazione per aumentarne la disponibilità ai cittadini , sia per produrre energia pulita e rinnovabile. Scelte concrete, non ideologiche, su cui i cittadini hanno interessi concreti perché hanno il diritto a servizi efficienti, sostenuti da tariffe eque e non da “gabelle” inique. La crisi economica ha colpito il lavoro e i redditi, abbassando pericolosamente la soglia delle tutele e dei diritti (il “modello Fiat/ Pomigliano”, nella sua parte più negativa, sta facendo scuola , nonostante ci sia chi si ostini a negarlo). La crisi rende più vulnerabili, indifesi e persino più disponibili alla rinuncia di un pezzo della propria dignità pur di tenere la testa fuori dall’acqua. Una delle priorità per alimentare l’economia e uscire più rapidamente dalla crisi in modo giusto e duraturo è l’aumento dei salari più bassi. Perché tanta timidezza nel dirlo? Eppure non è in contraddizione con la difesa del lavoro.Occorre restituire potere di acquisto agli stipendi, agire sulla leva fiscale lottando davvero contro l’evasione e insieme detassando in modo automatico gli investimenti per l’occupazione. La nostra battaglia sul taglio dell’Irap in Piemonte ha segnato dei punti. E l’idea dell’autogoverno delle risorse energetiche può essere quel “di più” di cui sentiamo la mancanza per sostenere adeguatamente l’economia e lo sviluppo.
Come si affronta la crisi è un tema avvertito da decine di migliaia di persone anche nel VCO, molte della quali faticano ad arrivare alla quarta settimana del mese con gli stipendi. Hanno ragione, nella loro lettera, Borghi e gli altri amici nel sostenere che questa sta diventando sempre più la società dei due terzi “rovesciata”, dove solo il rimanente “terzo” sta bene a fronte delle difficoltà dei più. E le liberalizzazioni di cui tanto, e spesso male, abbiamo discusso? Il paese ne ha bisogno come il pane: meno barriere di accesso alle professioni, più concorrenza nei servizi, imprese maggiormente contendibili, autorità realmente indipendenti, rottura di soffocanti e non democratici monopoli. I cittadini sanno, ad esempio, quanto è stato fatto da Bersani e dal tanto disgraziato “governo Prodi” in quei 18 mesi sofferti? Temo che noi tutti si sia dimenato di dirglielo con chiarezza. Eppure questo è un argomento dove possiamo dire molto e molto bene. Chi può negare che il futuro ha bisogno di un grande sforzo di innovazione? In questi anni, anche da noi e grazie a noi, per la nostra “quota-parte”, si sono avviati progetti per un nuovo sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, l’economia verde, il sapere, la conoscenza. Il Polo dell’Innovazione ne è la rappresentazione migliore. Quante volte ci si è detto che serve una scuola davvero al passo con i tempi, in grado di aiutare la mobilità sociale, di premiare il merito, in modo da non favorire sempre quelli già favoriti dalle loro condizioni economico-sociali? Tante e con apparente convinzione. Salvo poi cedere a logiche territoriali ( non equilibrate o di potere) nel definire i progetti di riorganizzazione scolastica. Il principio di laicità, diciamo in molti, “è la nostra bussola, la via maestra di una convivenza plurale”. Ma la laicità si nutre di rispetto reciproco e di neutralità – che non significa indifferenza – della Repubblica di fronte alle diverse culture, convinzioni ideali, filosofiche, morali e religiose. Purché, naturalmente, tutti accettino un comune spazio pubblico di confronto e incontro nel quale gli unici principi non negoziabili siano quelli della Costituzione Italiana e della Carta dei diritti dell’Uomo. La gara a chi è più laico ( spesso a parole) è stucchevole così come la frenesia di accreditarsi dei tanti “laici-devoti” che fanno la gara a fare outing .
Personalmente, ho sempre confidato nell’importanza di questi temi, impegnandomi nei ruoli politici e istituzionali. La cultura socialista, alla quale mi sento oggi di appartenere e che ritengo una delle anime che vanno mantenute all’interno del Pd, mi stimola a lavorare per un programma d’azione che parli di diritti e doveri, di merito e di bisogni, di libertà individuali e responsabilità collettive. Che parli di laicità come sinonimo di libertà, di democrazia e di nuove opportunità per tutti. Senza farne un feticcio. Infine il Partito. Ho sostenuto e sostengo il progetto politico e “partitico” di Bersani perché credo che un partito sia tutt’oggi la miglior forma necessaria di una politica consapevole. La penso così da molto tempo. Del resto i partiti sono dei prodotti storici, che valgono finché servono, che si giustificano perché svolgono una funzione necessaria, perché la generalità delle persone conviene sul fatto che quella funzione sia necessaria. Ci siamo interrogati su come trovare forme nuove per la politica, per il rapporto tra politica e società, fra politica e cittadini. Non sono indifferenti, in questa logica, i vari sistemi elettorali. A livello nazionale c’è la “porcata” che espropria i cittadini dall’esprimersi sugli eletti; sul piano regionale l’attuale dispositivo penalizza i territori marginali e non mette al riparo dall’inquinamento delle liste farlocche che falsano la competizione ( com’è accaduto in Piemonte, con la vittoria “falsa” ,e in attesa di giudizio, di Cota) ; per Province e comuni emerge sempre più lo scarto tra presidenti e sindaci, esecutivi e assemblee elettive. A mio parere il futuro del PD ed un sistema maggioritario a doppio turno sarebbero la soluzione migliore: garantisce agli elettori un effettivo potere di scelta fra proposte di governo concretamente alternative e ci consentirebbe di riorganizzare il centrosinistra attorno a soggetti politici animati da una tensione maggioritaria.
Il tema del partito, della democrazia che si organizza attraverso un soggetto politico, riguarda anche le regole ed il modello della casa che abbiamo scelto di edificare insieme .Una casa che sarà tanto più grande e confortevole , quanto sarà in grado di accogliere tutti e di farli sentire – appunto – a casa loro.
E’ evidente che così ancora non è. O non lo è del tutto. Con il rischio che “ l’insieme di diversi che hanno scelto di unirsi” resti un’opera incompiuta. Non credo che il problema possa ridursi agli “ex-questo o quello”, affetti da nostalgia e dei “democratici-democratici” immersi nel nuovo, senza vincoli con il passato. Il tema sta nel progetto politico/organizzativo su cui si basa la libera convivenza/appartenenza nel Pd che , anche da noi, estrema periferia nord dell’Impero, necessita di un rilancio, consapevoli che tutte le sensibilità e le aree politiche sono utili e che di nessuno ci si possa privare. Ovviamente, fatta salva la chiarezza, la lealtà e la capacità decisionale di una forza che deve essere democratica nei fatti e non solo nel nome. Sono tra coloro che considerano una risorsa indispensabile le idee dell’area laica, libertaria e socialista e penso che altrettanto si debba dire del cattolicesimo democratico. Guai a pensare che si possa fare a meno di alcuni, quasi che una ipotetica perdita o allontanamento possa strappare un sospiro di sollievo: sarebbe una tremenda sciagura. Corrisponderebbe alla fine del Partito Democratico. Alcuni amici denunciano problemi che vanno oltre le questioni degli organigrammi e che riguardano il riconoscimento del peso che, ad esempio, la componente cattolico-democratica può avere nell’apporto alla vita culturale del Pd. Non mi pare che, almeno nel VCO, questa sofferenza dei cattolici all’interno del partito sia motivata dalla presenza di una sorta di monocolore ex-Ds. Ma è evidente un fatto: quando un disagio si manifesta non va aggirato, sottovalutato o negato. Si discute e si cerca la soluzione più ragionevole. Del resto, una delle “ragioni sociali” della nostra impresa non era forse di dar vita ad un luogo dove si trovano, si riconoscono e si unificano i riformisti? Attenzione: si unifichino, non si uniformino. Perché il riformismo è per sua stessa natura geloso delle radici culturali dalle quali si alimenta. Perché il riformista ( quello vero, e tenace) non si può accontentare della risposta data in un certo momento ed anche se la condivide non interrompe la ricerca per trovarne una migliore. Si dice: il riformismo è la sintesi tra la radicalità dei valori , il pragmatismo delle risposte possibili e la gradualità dei risultati. Bene, se è così facciamo che questa sintesi rappresenti la tensione positiva, la corrente elettrica che può fornire energia e vitalità al PD. E’ bene, però, non abusare della parola/formula “riformista”. Anche perché ci si può definire tali quando le riforme le si fanno e non più solo quando si promette di farle. Mi permetto di osservare come non guasterebbe anche una maggiore attenzione alla delicatezza dei rapporti umani e alla loro dimensione di dignità ( in una forza progressista) . Forse non aveva torto Rino Formica, negli anni ’80, quando disse che "la politica è sangue e merda", riferendosi alla miscela di passioni civili, lotte per il potere, tensioni culturali, amarezze e scontri. Ma questo non ci può far perdere di vista la qualità dei rapporti tra chi ha scelto, liberamente, di contribuire alla vita del partito. Un partito che non è di questo o di quello, di noi o di voi ma di tutti.
Siamo d’accordo che il PD deve essere sempre un partito di governo? Un partito di governo oggi, momentaneamente, all’opposizione. Che, ovunque sia collocato, si pone il problema del governo della società, dell’economia, delle istituzioni. Ormai l’essere o meno partito di governo non si misura più sul terreno della legittimazione a governare (come in Italia è stato per più di 50 anni). Si misura sulla capacità o meno di raccogliere, di unire forze in quantità ( e qualità) tali da formare maggioranza coerente con un progetto. La nostra esperienza ci dice che vincere è una cosa e governare è un’altra. Ciò che scegliamo di fare influenza tutto il campo politico del centrosinistra che non è più quello dell’Ulivo o dell’Unione. l’alleanza, a Roma come a Torino o nel VCO va riassettata ex-novo, senza esclusioni a priori. La propensione all’unità è un bene in sé ed è utile a noi come a tutte le forze che stanno dentro al perimetro del centrosinistra. Il Pd può essere il perno di una nuova alleanza progressista? E’ evidente, a mio parere, che in un quadro del genere, il principale soggetto politico con questa natura (noi) deve aspirare ad avere una “portata” che lo renda credibile allo scopo. Per “portata” intendo la capacità di raccolta elettorale, di rappresentare e comporre un ampio spettro di interessi e di formare e selezionare una classe dirigente. Per questo serve un partito più forte. E per un partito la sua forma è un contenuto politico e non solo una scelta tecnica. Va progettato, costruito, animato dal basso. Il limite più evidente che ci portiamo appresso – più o meno immutato – nei vari passaggi del processo evolutivo (quando non di “rottura”) tra PCI, PDS e DS o tra DC, PPI e Margherita, è lo strumento-partito. l’organizzazione partitica è , nella sostanza, rimasta immutata, rigida come un baccalà, standardizzata nelle sue forme e persino nei suoi “riti democratici”. Invece c’è sempre più bisogno di moduli organizzativi elastici, variabili, diversi e capaci di esprimersi secondo le circostanze e gli obiettivi. Un partito come quello che abbiamo scelto dovrebbe essere in grado di esprimere il massimo dell’energia attraverso la più ampia libertà. Quindi una organizzazione inclusiva, democratica, meno rigida, fondata sull’autonomia e sulla responsabilità. Qualcosa da sperimentare nei fatti, magari per approssimazioni, scontando errori. Un progetto da costruire innanzitutto nella nostra testa.
Ci siamo divisi in mozioni e correnti. Personalmente non ho nessuna riserva in ordine alle correnti. I partiti veramente democratici devono garantire l’organizzazione di un confronto che passi anche attraverso l’esistenza di correnti. Il problema è quando prevalgono i personalismi, quando chi vuole giocarsi un po’ di peso politico si organizza la cordata di sostenitori a scopo congressuale. Da molto tempo i partiti, anche quelli di sinistra, hanno poche regole e mal rispettate e, troppo spesso, vivono occasionalmente e confusamente il dibattito e la decisione democratica. Così ci siamo trovati ad avere, da una parte, leader plebiscitari e dall’altra una frammentazione di tanti potentati senza politica che gestiscono il potere locale soprattutto attraverso gli eletti dei vari livelli istituzionali. Si può negare che le cose non stanno così? Per queste ragioni è urgente ricostruire un corpo democratico di cittadini, consapevole e unito da procedure chiare, che conta nelle scelte più importanti anche attraverso espressioni di voto come i referendum. Non servono strutture “arlecchino”, carovane movimentiste, pensatoi ristretti. Serve un partito dove l’aggettivo “democratico” non si limiti ad una promessa ma corrisponda alla realtà.
Mi scuso con voi per la lunghezza e, forse, la “disarticolazione” di queste considerazioni: sono il prodotto della mia astinenza da dibattito politico (per ragioni personali e oggettive). Testimoniano, comunque, la convinzione sull’opportunità di un confronto franco e libero sui prossimi appuntamenti politici, interni ed esterni. Per quelli, diciamo così, "interni" ( congresso, formazione conseguente dei gruppi dirigenti, progetto politico/culturale/programmatico adatto alla realtà del VCO) credo sia bene chiarire come si intenderà procedere. Non ho mai avvertito il vincolo della mozione congressuale come una camicia di forza ma resto dell’idea che il progetto politico generale che la motivava resta in campo, e a pieno titolo.
Dunque, prima che ci si “sfarini” ( gli uni e gli altri , e in diverse direzioni “interne”) credo occorra un minimo di valutazione su quanto è accaduto dal congresso ad oggi ( giudizio sul gruppo dirigente, problemi scaturiti nel dibattito interno, rendiconto del lavoro fatto, problemi incontrati con le altre forze del centrosinistra, situazione organizzativa del PD (in merito alla quale, ricordo una preoccupata e preoccupante nota che denunciava un grave impasse nelle adesioni).
Ho avuto modo di leggere il documento sul partito del "Noi". Trovo che ci siano cose interessanti e condivisibili. Si propongono contenuti, in gran parte ( mi pare..) già acquisiti dal partito, e temi, delicati e irrisolti, come il rinnovamento, del quale nessuno nega la necessità. Proviamo a praticarlo, con serietà e convinzione, evitando il rischio che s’incarni nel filone della lamentevole denuncia sull’assenza dei giovani nelle nostre file , che da decenni affligge tutti, a prescindere dall’anagrafe. Noto che i gruppi di lavoro ( ai quali, quando mi è stato possibile, ho offerto il mio modesto contributo) sono abbastanza “in palla” : magari non tutti dimostrano la stessa efficacia ma non amo fare le graduatorie, e nemmeno mi compete . Considero questo fatto come una solida garanzia sulla qualità della proposta politica. Dovremo renderla più “leggibile” agli occhi dei cittadini, più “intuitiva” delle dinamiche che agitano il “corpaccione” sociale e culturale del VCO, ma sono certo che non si faticherà a trovare parole e i metodi per farlo. Che dire, ancora? Avremo di fronte mesi difficili: forse si voterà, in primavera, per le Regionali ( possibile) e le politiche (probabile). Ci saranno le prove, a breve, dei turni amministrativi a Domodossola e Omegna. C’è la crisi che continua a mietere vittime, bruciando posti di lavoro e prospettive per tanti lavoratori, artigiani, e piccoli imprenditori oltre a offrire poco o nulla ai giovani senza lavoro. Intuisco che in tutto ciò restano larghi gli spazi per la politica del PD e del centrosinistra. Personalmente – per quanto, per come e dove potrò – sono in grado di assicurare la mia parte.

Marco Travaglini
Agosto 2010

MONTAGNA: ACQUA, ENERGIA, AUTONOMIA: ultimo dibattito alla festa di Villadossola

image Segnaliamo l’ultimo appuntamento politico che si svolgerà nello Spazio Dibattiti alla Festa Nazionale Democratica sulla montagna a Villadossola, Cliccare qui per vedere il depliant della festa in
Lunedi’ 16 agosto ore 18: MONTAGNA: ACQUA, ENERGIA, AUTONOMIA, Il futuro delle terre alte tra politiche centraliste e idee democratiche. Presiede Marco Travaglini, esecutivo PD vco, relazione introduttiva di Enrico Borghi Presidente Nazionale Uncem. Interventi di Lido Riba Presidente Regionale Uncem, On. Erminio Quartiani Presidente intergruppo "amici della montagna" Parlamento Italiano. Conclude STELLA BIANCHI Responsabile Nazionale Pd acqua e ambiente. segue– Giovedì 12 agosto "la manovra del Governo È sbagliata. Altro che federalismo: solo sacrifici per i cittadini. Le proposte del PD per la crescita ed il lavoro". Partecipa Aldo Reschigna, Presidente Gruppo Consigliare PD Piemonte. Presiede Lilliana Graziobelli

Per un pd-pd: partito democratico per davvero

image Sono passati alcuni giorni dalla nostra decisione di dimetterci dall’esecutivo provinciale del Pd del Verbano Cusio Ossola, e riteniamo di dover fissare alcuni punti politici che da un lato caratterizzino la nostra decisione e dall’altro la configurino come un contributo alla crescita e al radicamento del partito.
1- Crisi della destra, afasia del Pd
Stiamo vivendo il momento di maggior crisi del centro destra italiano degli ultimi quindici anni. La rottura, ormai sempre più evidente e destinata a sfociare a breve, tra Silvio Berlusconi e Gianfranco
Fini non è una impuntatura personale o un capriccio tra persone. E’ la traiettoria finale di uno scontro tra due visioni alternative di come costruire il partito della destra conservatrice italiana, tra un modello populista e oligarchico e un’ idea che conserva un proprio ancoraggio al concetto della democrazia rappresentativa. (segue)l tutto mentre sullo sfondo di un governo incapace di progettare il futuro e di far imboccare al paese un modello di crescita e di sviluppo prendono corpo le peggiori espressioni di una fase politica nella sua fase finale e decadente: corruzioni, consorterie, intrighi di palazzo e giochi di potere, che arrivano a lambire le stesse autorità di garanzia della Repubblica e minano profondamente la credibilità delle istituzioni agli occhi dei cittadini.
Se ci spostiamo sul piano regionale, la vicenda clamorosa dei ricorsi elettorali e delle pronunce delle magistrature amministrative ci consegnano una destra che, dopo aver declamato nelle piazze la sua immagine di novità e di cambiamento, si è poggiato sul piedistallo delle firme false e delle liste farlocche, come il gigante con i piedi d’argilla del sogno biblico di Nabucodonosor interpretato da Daniele.
Il “partito del predellino” muore nello scontro finale tra i due co-fondatori, mentre il governo di destra porta il Paese su livelli di declino economico ed etico mai toccati nell’intera storia repubblicana.
E se scivoliamo ancora di più nel locale, e andiamo a constatare l’effetto di governo della destra ad un anno dalle elezioni amministrative del giugno del 2009, ci accorgiamo che nella migliore delle ipotesi si segna il passo (vedi l’amministrazione provinciale) e nella situazione più declamata e sbandierata (il Comune di Verbania) si imbocca una clamorosa retro marcia con la diminuzione dei servizi, lo stallo degli investimenti e la telenovela del teatro che si preannuncia gravida di puntate sterili per l’intera legislatura. Il tutto mentre incombe l’ombra sempre più concreta di un radicale taglio sui servizi sociali, di una rinnovata tensione nel mondo della sanità che farà riesplodere sopite tensioni territoriali, di un futuro stesso dell’autonomia provinciale affidata ad un riassetto dei poteri locali nei quali Novara (dall’acqua, ai rifiuti, alla sanità) sta acquistando un ruolo preponderante che presto si trasformerà in tentativo di eliminazione della sovranità del Verbano Cusio Ossola. Tutto questo mentre la crisi economico-produttiva più stressante degli ultimi trent’anni mette sotto scacco il tradizionale modello di sviluppo del VCO, e i suoi ceti più poveri, senza che arrivi dalla destra un autentico modello alternativo che non sia il ricorso alla spesa pubblica, in piena contraddizione con le prediche tremontiane e il modello reaganiano che Berlusconi di quando in quando ci propina.
Stiamo registrando il sostanziale fallimento dell’esperienza di governo della destra che cristallizza un’Italia sempre più povera e sempre meno competitiva in cui si chiudono gli spazi delle opportunità e delle speranze e in cui il ceto medio scivola sempre più verso la povertà, in cui l’antica divisione fatta da Glotz della società dei due terzi di abbienti e di un terzo di esclusi si va trasformando nella società dove un terzo possiede ed ha il benessere e due terzi sono esclusi, diventano outsiders da abbandonare a sé stessi e al conservatorismo compassionevole.
Eppure…. Eppure dentro questo scenario non emerge –a Roma, a Torino e nel VCO- un’alternativa politica nettamente percepibile dai cittadini, sui quali far confluire i consensi dei delusi e costruire un processo di modernizzazione del Paese nel quale sviluppo economico e allargamento della sfera delle opportunità marcino insieme.
l’afasia è diventato il tratto caratterizzante del Partito Democratico, e dietro questa condizione si affastellano i populismi destrorsi di Di Pietro e quelli sinistrorsi di Vendola, uniti da un unico comune denominatore: fare a brandelli la scommessa dei Democratici, per spartirsi le spoglie elettorali e politiche del riformismo italiano e condurre l’alternativa al berlusconismo verso lidi fatti di un impasto tra un leaderismo alla Chavez e uno alla Masaniello.
Oggi il vero rischio, la vera partita politica dei tempi che viviamo e di quelli che vivremo, è il tentativo che è in atto di trasformazione del modello di democrazia da rappresentativa ad oligarchica, in cui il reale controllo dei governi non è del cittadino ma degli ottimati inseriti nel sistema.
Per noi il meglio della stessa democrazia consiste nella possibilità dei cittadini di esprimere la rappresentanza politica, attraverso periodiche elezioni, in un sistema istituzionale fatto di pesi e contrappesi, di poteri e di limiti. Come ci insegnava Tocqueville nella “Democrazia in America”. Un sistema liberale, insomma.
Mentre oggi sul campo –a destra come a sinistra- ci sono opzioni nelle quali si vuole affidare al leaderismo e al populismo il compito messianico di traghettarci oltre il mar Rosso, verso la terra promessa dove scorre il latte e il miele ma dove in realtà la democrazia rappresentativa involve verso la democrazia della subordinazione.
Oligarchie economiche, dominio della finanza e dell’industria sui mass media e sulla comunicazione e aumento delle disuguaglianze sono tutte facce di un unico prisma, nel quale i big players economico-finanziari stanno svuotando la democrazia dall’interno, e nel quale lo “spettro” che si aggira per il mondo non è quello evocato da Marx nel 1848 ma è il controllo totale della grande finanza sulle dinamiche politiche.
Su questo, e sui suoi effetti fino all’ultimo anello periferico d’Italia, noi facciamo silenzio.
Questo silenzio viene percepito dai cittadini, che guardano altrove, mentre al nostro interno, avendo interrotto l’elaborazione culturale che traghettò le culture storiche del riformismo italiano dalla Prima Repubblica fino al PD, discutiamo di cose surreali e totalmente autorefenziali. Cose da ceto politico e da burocrazie di partito: primarie, tesseramento, regole (possibilmente da applicare sempre agli altri e mai iniziando da se stessi). E la politica?

2 – La torre eburnea del VCO
Gli effetti di questa afasia si scontano in particolare nel Verbano Cusio Ossola, dove il partito è ormai chiuso in una torre eburnea. Un luogo nel quale al faticoso lavoro di analisi della società, delle sue dinamiche e delle sue esigenze, si preferisce il tranquillo e consolatorio rito del partito tradizionale.
Poco importa se fuori dalle porte della sezione il mondo va per conto suo. E’ scattata la dinamica che trova in una corteccia rettile a metà strada tra la concezione leninista (“l’unico programma politico: prendere il potere”) e quella togliattiana (flessibilità tattica, integrità ideologica) la sua giustificazione.
Una concezione nella quale il Partito, e il suo ufficio politico (quello che in russo si dice “politbjuro”), dà la “linea”, alla quale si uniformano le organizzazioni periferiche del partito secondo una logica piramidale e gerarchica.
Sarebbero troppi gli esempi da citare che in tal senso si sono susseguiti nel Pd del VCO in questi ultimi mesi, e vogliamo mantenere la nostra riflessione sul piano dell’analisi politica e non farla degradare sulle polemiche da cortile o sui pettegolezzi da ballatoio come troppe volte è finito il nostro dibattito interno.
Ma un esempio valga per tutti: l’atteggiamento tenuto sul tema dell’acqua. Il Partito “convoca” gli amministratori per ratificare un verbale già scritto e redatto da parte del solerte responsabile (che nel merito ripropone tesi ormai superate dalla realtà, come se Berlinguer negli anni ’70 avesse riproposto il frontismo in luogo della solidarietà nazionale), e poi –senza una discussione che parte dal basso, che coinvolge e si prende i luoghi e i tempi di una discussione impegnativa e condivisa- dirama “la linea” (letteralmente definita cosi’!!!) ai circoli e ai componenti dell’assemblea provinciale! Era una modalità che a fatica funzionava negli anni ’50, e che oggi è completamente al di fuori della realtà e della storia. Ma evidentemente è la comoda placenta nella quale si albergano le tetragone certezze di chi preferisce barricarsi nella cittadella piuttosto che affrontare l’ignoto fuori dalle mura della fortezza, nella illusoria speranza che così presto il mondo fuori dalla porta tornerà ad essere quello che era un tempo.
I sintomi di questa azione sono tutti visibili a chi ha gli occhi per vederli: il tesseramento langue, l’iniziativa politica del partito non è percepita dall’opinione pubblica, i circoli sono abbandonati a se stessi e chi pone questi argomenti viene circoscritto al rango di disturbatore di turno. A quando anche l’istituzione della Commissione Centrale di Controllo per la decisione sulla correttezza ideologica delle posizioni dei singoli?
La discussione interna, non più finalizzata alla costruzione di una piattaforma politica (neanche un documento discusso e votato in questi mesi) scivola sempre più verso forme di personalismo, di rivendicazione sterile, di volontà di potere dei singoli. In cui la politica muore.

3 – Rilancio, non fuga
Noi –insieme a tanti altri- abbiamo fondato il Partito Democratico. Nel VCO, e anche in Piemonte e in Italia. Gli vogliamo bene e guardiamo a lui come la speranza per il domani dei nostri figli. Un domani più giusto e più bello. Crediamo che il partito sia lo strumento con il quale anche gli esclusi dal sistema delle opportunità e delle garanzie possano incidere sul proprio futuro e sul proprio destino.
Non possiamo accettare silenti che questo Partito evapori tra il nostalgismo e i furori novisti che nel predicare un rinnovamento senza alcuna base culturale rievocano in realtà il modello di Robespierre.
Proprio perché vogliamo bene al Partito Democratico abbiamo rassegnato le nostre dimissioni dagli organi politici provinciali. Per aprire una discussione, un dibattito e una larga riflessione sul futuro del Pd, in questa Italia che ha bisogno di un’alternativa vera, popolare e democratica alla situazione stagnante che vive.
In politica le cose non si ottengono con la declamazione, ma con la riflessione a cui segue l’azione. Il resto sono cose per filosofi, se sono alte, o per demagoghi, se sono basse.
Non ci interessano entrambe le categorie.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero. Non ci siamo lasciati alle spalle le vecchie navi, bruciandole definitivamente sulla spiaggia per non avere neppure più la tentazione del ritorno ad una patria che non c’è più, per assistere alla regressione in atto.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, che parta dal basso, dal coinvolgimento e dall’ascolto per mettere in campo azioni modernizzatici e innovative. Un progetto chiaro e percepibile, perché l’opposizione non si fa dicendo solo dei “no” o facendo il controcanto ideologico e forzato, ma praticando sul campo una idea alternativa che venga percepita come credibile dalla gente, dai cittadini, dagli elettori.
Così torneremo a vincere. Altrimenti la strada delle prossime amministrative (a cominciare da Domodossola) e delle prossime tornate elettorali è già segnata.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, nel quale tutte le culture politiche vengano rispettate e facciano un passo in avanti, e nel quale quando si pongono problemi politici (è o non è oggi un problema politico quanto sta avvenendo nel moderatismo italiano con la crisi del berlusconismo e di come il Pd si rapporta ad esso?) non si venga derubricati da qualche consueto maitre a penser locale come “patetici”. E nel quale chi ha incarichi –anche elevati- di responsabilità politica non si ammali di ponziopilatismo, ma abbia il gusto della guida e dell’assunzione delle responsabilità che competono alle leadership.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, nel quale ci si possa confrontare su tutti gli argomenti, e che sia un luogo in cui chi ha delle idee possa essere messo alla prova e giudicato per quello che fa, per quello che ha fatto e per quello che è in grado di fare.
Vogliamo un Partito Democratico Per Davvero, che al piccolo cabotaggio sostituisca il coraggio. E –perché no- anche il sogno che un’altra Italia, un altro Piemonte, un altro VCO è possibile.
Il motivo delle nostre dimissioni è tutto qui: il rilancio di un progetto e di un’idea, e non la fuga. Lo facciamo con la speranza che siano in tanti a condividere questa prospettiva, e che il dibattito congressuale che è alle porte sia l’occasione per una crescita comune condivisa.
Altro non ci interessa.

30 luglio 2010

Enrico Borghi – Rosa Rita Varallo – Stefano Costa

Dibattito sull’economia e il lavoro: lunedì19 luglio a Intra

image La manovra Tremonti e la manovra sul lavoro di Cota: le difficoltà del Piemonte le critiche e le proposte del Partito Democratico.
È questo il titolo dell’incontro pubblico che si svolgerà lunedì 19 luglio 2010 alle ore 21.00 presso la Sala Rosmini
presso Hotel Il Chiostro a Verbania Intra
.
Potete scaricare cliccando qui il PDF delle proposte del PD in materia e il video dello spot dell’iniziativa.
Presiede l’incontro Liliana Graziobelli segretario Provinciale PD VCO.
Relazione sulla manovra Tremonti dell’Onorevole Mario Lovelli, parlamentare piemontese ed ex Sindaco di Novi Ligure.
Relazione sulla manovra Cota di Aldo Reschigna, presidente del gruppo consigliare PD Piemonte.
Interverrà Enrico Borghi, presidente nazionale Uncem
Seguirà il dibattito e poi la conclusione dei lavori con la presentazione di un documento di proposta. Sono invitati lavoratori, cittadini, famiglie, amministratori, associazioni economiche e sindacali. Organizza il gruppo consiliare regionale PD e il Coordinamento provinciale PD VCO

BONIFICA EX ENICHEM convegno sabato 26 giugno a Pieve Vergonte

image Ecco i link che potete cliccare per vedere i servizi televisi relativi al convegno pubblico organizzato sabato scorso a Pieve Vergonte.
I° Servizio VCO Sat     II° servizio VCO Sat      Servizio VCO Azzurra TV BONIFICA EX ENICHEM per l’ambiente e per il lavoro:convegno di approfondimento confronto e proposta.
È questo il titolo dell’iniziativa pubblica organizzata per sabato 26 giugno dalle ore 09 presso il Centro Massari a Pieve Vergonte.
Un confronto con relazioni di esperti e tecnici, contributi di associazioni e forze politiche al quale sono invitati i lavoratori, cittadini, amministratori, parlamentari, consiglieri regionali, per una inizitiva a cura dei gruppi consiliari regionali del Partito Democratico, dell’Italia dei Valori, di Sinistra Ecologia e Libertà.
PROGRAMMA
– Introduzione: Maria Grazia Medali Assessore Ambiente Comune di Pieve Vergonte

– Relazione di presentazione del convegno: Paolo Riva, dipendente tecnico Tessenderlo

– Il progetto di bonifica: Stefano Rigatelli, Regione Piemonte

– Il ruolo di ARPA per le bonifiche del territorio: Luigi Guidetti, direttore ARPA VCO

– Gli inquinanti nel Toce e nel Lago Maggiore: Piero Guilizzoni, CNR Pallanza

– Le opportunità per le aziende del VCO: Maurizio Colombo, Camera Commercio

– Energia per il territorio: Enrico Borghi, Presidente di Tecnoparco

– Finalmente si parte?: Paolo Marchioni, cda ENI e vice Presidente Provincia VCO

– Mantenere e sviluppare un polo industriale: Silvano De Regibus, Sindacato Chimici VCO

– Contributi delle forze politiche promotrici del convegno:

> Alfonso Gianni, Sinistra Ecologia e Libertà

> Aldo Reschigna, capogruppo PD in Consiglio Regionale

> Patrizia Bugnano, senatrice IDV, Commissione Industria del Senato

– Dibattito

– Conclusione dei lavori con la presentazione di un documento di proposta