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Dal Governo una nuova gabella sui ruderi da accatastare

image Altro che federalismo. Dal Governo una nuova gabella sui ruderi da accatastare. Altro centralismo, burocrazia e spese a carico dei cittadini di montagna.
Una “bella” sorpresa è arrivata, dal governo Berlusconi, per i cittadini delle zone di montagna.
Come se già non bastasse questa manovra finanziaria che taglia fondi alle amministrazioni e i servizi ai cittadini.
Infatti, l’articolo 19 comma 14 del Decreto Legge del 31 maggio 2010 n° 78, in merito alla conformità dei dati catastali di fabbricati oggetto di atto notarile, ha sancito, a partire dal 1° luglio 2010, l’obbligatorietà di denunciare al Catasto Fabbricati tutti i fabbricati rurali oggetto di compravendita, permuta, donazione, divisione, cessione di quote, costituzione di servitù ecc.
“Tutti – sottolinea Stefano Costa del gruppo provinciale del PD – significa anche i ruderi o quei fabbricati ancora in piedi, numerosissimi in ogni comune della nostra Provincia, ubicati in aree marginali boscate, non raggiungibili da strade e difficilmente recuperabili anche in futuro ma oggetto, in particolare, di atti di divisione ereditaria”. Ferma restando l’esenzione da imposte e da dichiarazione al Catasto Urbano precisata dall’Agenzia del Territorio, dopo l’invio dei numerosi avvisi di accertamento degli scorsi mesi, in questo caso l’obbligatorietà risulta invece inevitabile ogni qual volta ruderi o vecchie stalle in luoghi remoti saranno oggetto di atto notarile.
“Ne consegue – afferma sempre Costa – che, volendo procedere comunque all’atto in questione, il proprietario o i proprietari dovranno farsi carico, oltre che delle spese notarili già cospicue, di spese tecniche aggiuntive orientativamente tra i 300 (per i ruderi) ed i 600 euro (per stalle e casere ancora in piedi) in più per ogni fabbricato oggetto dell’atto notarile in questione”.
“E’ un’altra gabella che va a colpire i territori marginali e di montagna – afferma Lilliana Graziobelli segretario provinciale PD – aggiunge burocrazia e va in una direzione diametralmente opposta alla necessità di agevolare gli accorpamenti fondiari in montagna, che a parole è sostenuta anche dalla Provincia del Vco, ma che è resa in questo modo più difficoltosa dal Governo Centrale. Interverremo nelle sedi istituzionali per denunciare questa scelta e chiedere un immediato dietrofront”.

Comunicato stampa
Coordinamento Provinciale PD VCO
Gruppo consigliare PD in Provinciale

PD Ufficio stampa

La riforma Gelmini colpisce pesantemente le famiglie del VCO: tagli al tempo prolungato in 18 scuole

image Vi ricordate le promesse del centro destra, di Berlusconi e del ministro Gelmini, dopo l’approvazione della riforma sulla scuola?
Niente tagli a risorse ed orari! Le bugie, però, hanno le gambe corte.
I tagli – reali – apportati alle risorse economiche ed umane hanno portato a situazioni difficili anche nella nostra provincia. A Domodossola l’ultimo esempio, dove la scelta di aver difeso il servizio nelle scuole di montagna porta alla conseguenza di dove rinunciare al tempo pieno.
Ed ecco che le famiglie degli alunni delle scuole elementari “Don Milani” di Domodossola che avevano scelto le 40 ore per i loro figli, vale a dire il tempo prolungato a scuola, in questi giorni hanno avuto dall’ufficio provinciale per la scuola un’amara sorpresa. Richiesta respinta e solo 27 ore contro le 40 richieste. Conseguenza: 21 famiglie in grosse difficoltà per trovare una collocazione ai bambini per due pomeriggi alla settimana.
l’ufficio provinciale scolastico ha dichiarato ai giornali Questa di Domodossola non è la sola scuola a cui sono state negate le 40 ore. Nella stessa situazione ci sono nel Vco altre 18 scuole. Il tempo pieno poteva essere accolto compatibilmente con le risorse disponibili. ”. Ben 18 scuole nel VCO in cui è stato tagliato il tempio pieno. Questa è la verità!
I nodi vengono al pettine, la riforma Gelmini si sta dimostrando per quello che è in realtà: solo ed unicamente una somma di tagli alle risorse e al personale.
Purtroppo, le famiglie, se ne stanno accorgendo sulla loro pelle.
Ed è solo l’inizio, perché gli ulteriori tagli agli enti locali previsti dall’attuale manovra economica di Tremonti, in discussione in Parlamento, si abbatteranno come una mannaia sui servizi ai cittadini.
I tagli del governo alle amministrazioni locali si traducono in riduzione di servizi ai cittadini.
Ad esserne colpiti saranno i più deboli e le famiglie che dovranno rinunciare a servizi per loro basilari.
Speriamo solo che finisca la sceneggiata degli amministratori locali del centro destra che fanno la voce grossa contro i tagli e poi sono corresponsabili di queste scelte, a partire dai parlamentari locali come Zanetta e Montani.
O come del sindaco di Verbania Zacchera che, proprio ieri, si è si lamentato di questi tagli sui giornali locali – che, dopo la soppressione di LiberBus, porteranno all’eliminazione anche di PiùBus – ma che poi andrà tranquillamente a Roma, unitamente ai suoi colleghi, ad alzare la mano ed a votare la manovra in Parlamento.
Nei prossimi giorni interverremo nelle sedi istituzionali competenti, dalla Provincia al Comune ecc, per chiedere conto di queste scelte, e per far si che il caso della scuola di Domodossola e delle altre 18 nel VCO non cada nel dimenticatoio.

PD Coordinamento provinciale
PD Circolo di Domodossola

PD Ufficio Stampa

Manovra finanziara: l’Uncem non ci sta.

image Manovra finanziaria: l’Uncem annuncia la mobilitazione della montagna attraverso un calendario di iniziative nazionali e locali.
Nel VCO sarebbero a rischio anche alcuni impianti di risalita. "Scuola, sanità, farmacie, agricoltura, trasporti. La manovra taglia i servizi e colpisce i piccoli Comuni e le Comunità montane che sostengono la coesione socioeconomica dei territori, continuando a salvaguardare gli interesse delle grandi municipalità" si legge in un comunicato dove si aggiunge che l’obbligo per i Comuni sotto i 30 mila abitanti a dismettere ogni tipo di partecipazione societaria impedirà il loro coinvolgimento in progetti nel campo dell’energia e dell’ambiente. "Se la finanziaria venisse recepita cosi’ com’è – spiega il presidente dell’Uncem Enrico Borghi – per esempio il comune di Macugnaga non potrà piu’ gestire la Funivia, stesso problema per la società pubblica che gestisce la Piana di Vigezzo e per tutti i comuni proprietari di centraline idroelettriche". Il 24 giugno grande manifestazione a Roma. Il 25 i vertici dell’Uncem incontreranno il presidente della Repubblica Napolitano.

Taglio delle province: VCO cancellato?

image In una sola settimana la maggioranza di centrodestra che governa l’Italia è riuscita ad esprimere quanto segue circa il taglio delle province, diventate ingiustamente emblema dei costi della politica:
1) Decreto anticrisi
Abolizione delle province con meno di 220.000 abitanti, deroghe per quelle confinanti con stati esteri o appartenenti a regioni a statuto speciale: in Piemonte VCO salvo, Biella e Vercelli cancellate.
2) Proposta del presidente leghista di Biella e condivisa (a Porta a Porta) dal presidente leghista della Regione Piemonte Cota: riunire sotto la provincia di Novara le quattro province del Piemonte nord-orientale (Novara, Vercelli, Biella, VCO).  Appare strana questa inversione di tendenza da parte dei leghisti che prima delle elezioni chiedevano autonomia per il VCO ed ora propongono di tornare alla situazione esistente nel 1927. 3) Il presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera Donato Bruno (PDL – Puglia)propone di usare la carta delle autonomie per cancellare tutte le province con popolazione inferiore a 200.000 abitanti, salvando quelle siciliane e sarde perché autonome e, di fatto, spianando la strada alla proposta leghista di cui sopra.
MORALE: delle nove province da tagliare (su 110 totali) tre sono in Piemonte VCO, Biella, Vercelli.
Il gruppo provinciale del PD chiede al Presidente Nobili di adoperarsi, anche nella veste di presidente dell’ Unione delle Province Piemontesi, affinché sia evidenziato il ruolo delle province, soprattutto di quelle, come il VCO, periferiche, demograficamente deboli, formate da molti comuni di piccole dimensioni e finanziariamente parsimoniose.
Chiediamo inoltre al Presidente Nobili di farsi portavoce, nelle sedi romane, di questo fondamentale concetto: l’importanza delle province non si misura in proporzione al numero degli abitanti ma soprattutto in relazione alla vastità ed alla complessità del territorio.
Se prendesse piede questa sciagurata ipotesi i piccoli comuni del VCO avrebbero difficoltà a gestire molte iniziative, i risparmi sarebbero pressoché nulli, continuerebbero ad esistere tutti gli enti in cui si annidano le cause del debito pubblico: due camere formate da 1.000 persone, 20 regioni di cui alcune con popolazione inferiore a quella delle province che si vorrebbe abolire, le province metropolitane e tutte quelle, anche più piccole del VCO (sarde e siciliane) che sono situate in regioni a statuto speciale.
Sarebbe una bella conquista per il nord e per la montagna!

Per il Gruppo del Partito Democratico in Provincia
Il capogruppo
Giuseppe Grieco

Rinnovo delle concessioni idroelettriche: le proposte del PD

image Rinnovo delle concessioni idroelettriche e utilizzo delle acque per uso energetico nei territori montani: le proposte del PD per un federalismo reale.
È questo il titolo del documento presentato oggi in una conferenza stampa dal Partito Democratico, alla presenza di Enrico Borghi, presidente UNCEM, Giuseppe Grieco capogruppo PD in provincia e Aldo Reschigna consigliere, capogruppo PD in Regione. Di seguito il documento presentato.
La imminente scadenza delle concessioni idroelettriche  nella provincia del Verbano Cusio Ossola costituisce oggi le basi il primo terreno di sperimentazione nel nostro territorio di un modello produttivo e non più assistenziale, e di applicazione reale dei principi di federalismo e di autonomia. Il PD del VCO ritiene che in proposito si debba operare  con una logica che tende alla riappropriazione, concertata e condivisa con gli attuali utilizzatori, delle risorse del territorio montano nel perseguimento di una logica autenticamente sussidiaria e federale.
l’articolo 12 del decreto legislativo n. 79/1999 ha introdotto la gara pubblica per la riassegnazione delle concessioni di grande derivazione idroelettrica (quelle relative agli impianti  >3000 kW di potenza nominale di concessione), riallineando al 2010 le scadenze di tutte le altre concessioni scadenti o scadute entro il 2010.

Le Regioni avrebbero dovuto avviare le procedure finalizzate all’assegnazione delle concessioni scadenti al 2010 entro il 2005,  ma ad oggi lo Stato non ha ancora emanato i criteri generali per la loro effettuazione (art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 79/1999), criteri che, secondo la sentenza citata della Corte Costituzionale, devono essere adottati dallo Stato d’intesa con le Regioni.

Tutto ciò considerato, il PD del  propone di superare l’empasse provocata dalla sentenza della Consulta attraverso due strade

1 – a livello nazionale

Il PD del VCO chiederà ai parlamentari del proprio partito di operare, a partire dalla discussione sulla manovra finanziaria annunciata per le prossime settimane, per giungere alla revisione dell’attuale meccanismo di proroga delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche introducendo in via sperimentale per i soli territori montani (in virtù della previsione normativa sancita dall’articolo 44 della Costituzione che recita “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”) un sistema premiale su base volontaria, derogatorio rispetto alla disciplina al momento vigente, secondo il quale ai concessionari che volontariamente cedono, prima della pubblicazione dei bandi previsti per il rinnovo delle concessioni, il 30/40% delle quote delle società agli enti locali interessati ubicati in territorio montano, viene concessa una proroga di 7 anni in luogo dei 3 anni di proroga tecnica (tempo minimo ora richiesto per indire le gare).

Una tale iniziativa mira per un verso a compensare gli squilibri economici determinati nel corso degli anni passati a svantaggio dei territori montani, prevedendo un equo ristoro per l’utilizzo della risorsa acqua di cui la montagna è particolarmente ricca, e assume per l’altro un’importanza politica decisiva, anche in chiave simbolica, nella realizzazione della svolta federalista del Paese con un approccio bottom-up.

 – a livello provinciale

Il PD del VCO ribadisce in proposito un concetto di fondo : il controllo delle strategie del settore energetico sia fatto da parte del pubblico, la gestione venga effettuata in base alle regole di mercato.
Questo per il Verbano Cusio Ossola rappresenterebbe una autentica rivoluzione, visto che qui il pubblico non ha fatto una autentica strategia, e le regole del mercato non sono mai esistite visto che non è stata fatta UNA SOLA GARA delle attuali 161 concessioni idroelettriche PUBBLICHE rilasciate nel territorio provinciale per una straordinaria potenza media nominale installata di 391.872,18 kwh.

Il rinnovo delle concessioni idroelettriche può diventare – e deve diventare – l’occasione per rifondare su basi nuove il rapporto fra i produttori idroelettrici e la Provincia del VCO col decollo di un’Azienda di Valle, che potremmo chiamare “Azienda Energetica delle Valli Lepontine” o “VCO Energia” a partecipazione pubblico-privata, inserita in un più vasto progetto industriale in grande di darle immediatamente una prospettiva nazionale e internazionale.
Un’ Azienda energetica delle nostre Valli che dovrà vedere come soggetti protagonisti al proprio interno gli enti locali del territorio (Provincia. Comunità Montane, Comuni sedi di impianti), le realtà operative come Tecnoparco del Lago Maggiore e SAIA e anche gli industriali, le forze imprenditoriali e le banche del territorio, in primis la Banca Popolare di Intra che avrebbe in tal modo l’occasione concreta per fugare ogni dubbio che spesso aleggia circa la sua reale volontà di rimanere radicata sul territorio nel quale è nata.
 Il modello cui guardare è quello già sperimentato con le Province di Trento e di Bolzano, dove con successo si è unita la capacità del pubblico di guidare le strategie e la logica di mercato per la gestione del comparto.
Solo così il Verbano Cusio Ossola potrà compiere quel salto di qualità che la sua economia oggi richiede e che solo in questo quadro si potrà discutere di energia a basso costo o a costo zero e di altri vantaggi territoriali altrimenti impossibili da conseguire. 

PDVCO

Verbania, 21 maggio 2010

Energia la sfida di domani. Contributo del Presidente nazionale Uncem Enrico Borghi

image"Oggi i problemi fondamentali dell’Occidente sono: il terrorismo, l’incremento demografico e le fonti energetiche. Ma, mentre il terrorismo e il boom demografico hanno cause e motivazioni differenti, il problema delle fonti energetiche li ricomprende entrambi. Da un lato infatti, la spinta demografica fa aumentare in modo esponenziale il fabbisogno e i consumi energetici. Dall’altro proprio questo rende le fonti energetiche, come il gas o il petrolio, una risorsa strategica."

Questa frase è di Barack Obama, che appena eletto ha costituito una task force sul tema dell’energia guidata da Steven Chu, premio Nobel per la fisica 1997 precisando che nel 21° secolo tutti dobbiamo essere pienamente consapevoli che l’economia e la sicurezza nazionale di tutti i paesi occidentali sono strettamente connessi all’energia. E che su questo versante la nuova economia sarà fondata sull’uso di energie rinnovabili per ridurre la dipendenza dell’America dai paesi fornitori di petrolio.
Risorsa strategica vuol dire sia per la sicurezza dei popoli e delle nazioni, ma anche per lo sviluppo economico della nostra civiltà industriale.
Liberarsi dalla dipendenza dal petrolio è quindi per l’Europa e l’Occidente la vera sfida di domani, che apre nuovi scenari, e nuove opportunità. (segue)
L’ENERGIA IDROELETTRICA BASE DELLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO ALL’INIZIO DEL NOVECENTO
Per noi Italiani occorre, anche in questo campo, imparare le lezioni che ci vengono dal passato, evitando di ripetere alcuni errori che hanno talora penalizzato la nostra industria idroelettrica e di cui anche l’Aem e la Valtellina, così strettamente legate nella storia energetica della nostra regione, hanno pagato il prezzo.
E fra le lezioni di ieri, una soprattutto va ricordata. L’Italia, povera di carbone, più di ogni altro paese europeo ha fondato il suo sviluppo economico-industriale del Novecento sull’energia idroelettrica.In Italia è nata nel 1898 la prima centrale idroelettrica d’Europa, la centrale Edison di Paderno d’Adda e, come tutti gli storici dell’economia hanno messo in rilievo, senza l’apporto energetico dell’industria idroelettrica sarebbe inimmaginabile il decollo dell’Italia industriale in età giolittiana fra il 1906 al 1914 quando prendono avvio i primi impianti dell’Aem in Valtellina che, insieme a quelli della Edison e della Falck, diventano il motore energetico dell’economia italiana.
Basti pensare che ancora nel 1895 la potenza installata dell’industria elettrica era di appena 86 MW, per metà di origine termica e per metà di origine idrica. Bene, nel 1912, cioè in meno di trent’anni questa potenza installata raggiunge in Italia 1.000MW, quasi interamente dovuti all’energia idroelettrica. Diventiamo così il 4° paese produttore di energia elettrica in Europa, il 6° nel mondo. I comuni illuminati con l’illuminazione elettrica passano in meno di vent’anni da 410 a 4.600, i capitali investiti da 31 milioni a 551 milioni, le obbligazioni emesse dalle industrie elettriche da zero a 140 milioni.

IL RUOLO DEL POLITECNICO E DELLA CULTURA TECNICO SCIENTIFICA

Quello che genera in Italia l’industria idroelettrica già alle sue origini è, insomma, un moto economico imponente che ha il suo epicentro a Milano, non solo perché è la capitale economica e finanziaria d’Italia, ma perché a Milano c’è il Politecnico, il maggiore istituto italiano di cultura tecnico-scientifica del tempo. Sono gli scienziati e i professori del Politecnico di Milano che mettono a punto la tecnologia del trasporto a distanza dell’energia, che ridà un nuovo significato e un nuovo contenuto economico al rapporto tra sistema alpino ed economia di pianura.
Ed è questa convergenza tra capacità impenditorial-finanziaria e cultura tecnico-scientifica universitaria ciò che ha reso immediatamente forte l’industria idroelettrica italiana in area lombarda-piemontese e ha consentito all’industria italiana di superare senza grossi danni la grave penuria di carbone che si genera negli anni della prima guerra mondiale e di rispondere senza problemi al grande incremento dei consumi elettrici del dopoguerra quando nell’arco di soli sei anni la capacità degli impianti idroelettrici quadruplica addirittura in Italia. Se noi, ad esempio, diamo uno sguardo all’industria prebellica italiana, noi vediamo che i settori di punta sono la metallurgia, la siderurgia, la chimica, ecc. Ma nel 1925 i settori di punta sono l’elettrometallurgia, l’elettromeccanica, l’elettrochimica, che sono tutti settori fortemente energivori e che senza l’industria idroelettrica in Italia in quegli anni non sarebbero nati. Ciò fa in modo che l’Italia, mentre nel 1914 importava quasi tutti i suoi macchinari elettrici dalla Germania, dopo la guerra diventa invece esportatrice in tutta Europa di generatori, trasformatori, fili e cavi elettrici, elettrodi, lampade a incandescenza, ecc.


IL BACINO DEL TOCE CASO NAZIONALE

La “risalita a salmone” del capitale e della tecnologia milanese fece dell’Ossola e del bacino del Toce uno dei nodi focali dello sviluppo dell’industria nazionale dell’energia idroelettrica.Fu il gruppo Edison a “colonizzare” energeticamente il bacino ossolano. Alla vigilia della nazionalizzazione compiuta dal governo Fanfani (Il 6 dicembre 1962 viene emanata la Legge 1643 che prevedeva la nazionalizzazione del sistema elettrico e istituiva l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL), cui venivano demandate
"tutte le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta") l’Edison controllava nel “distretto idroelettrico” del Toce una potenza installata ai motori primi di 644 MW, pari a poco meno del 20% di quella idroelettrica totale del gruppo e al 5% circa di quella idroelettrica nazionale.
I vertici dell’Edison diedero sempre una rilevanza precipua al complesso idrografico della Val d’Ossola, che si sostanziò nella creazione di 12 centrali (alcune delle quali autentiche perle di architettura industriale create dall’architetto milanese Piero Portaluppi e che furono alla base della nascita e del boom della “Umberto Girola s.p.a.”), alle quali affiancarono 8 centrali della Dinamo e 4 centrali della Sisma.
Lo sviluppo idroelettrico delle vallate ossolane produsse un fenomeno nuovo sotto il profilo occupazionale e sotto quello produttivo. A cascata delle assunzioni fatte per i nuovi profili occupazionali creati nel ciclo produttivo, l’innervamento aziendale produsse anche ripercussioni sul versante dell’infrastrutturazione turistica non solo dell’Ossola ma anche del Verbano (si pensi ai rifugi Maria Luisa, Mores e Città di Busto sorti sulle ceneri degli edifici di cantiere delle dighe, all’albergo Cervandone dell’Alpe Devero a disposizione dei dipendenti e dei pensionati aziendali, alla pensione di Rivasco e all’albergo Cascata del Toce assai frequentati dal personale delle società del gruppo, alla colonia estiva per i dipendenti del gruppo Edison realizzata a Suna, sul lago Maggiore). La Edison e la Dinamo, insomma, rappresentarono per almeno due decenni per l’Ossola ciò che la Fiat rappresentò per Torino: il tipico esempio di fordismo.
Del resto, ancora prima che l’Ossola fosse pervasa dallo slancio imprenditoriale delle grandi società elettrocommerciali, nella valle si avviavano iniziative pionieristiche locali per lo sfruttamento dell’elettricità a scopo di illuminazione.
Già nel 1886 gli ingegneri Ricci e Ceretti presentavano al sindaco di Domodossola un progetto per l’illuminazione ad energia elettrica comprendente 40 lampade ad incandescenza. E nel 1891 il comune di Domodossola concedeva ad una società milanese, la “Marazza, Castiglioni e Mantica” la concessione per 15 anni per “l’impianto e l’esercizio dell’illuminazione elettrica pubblica della città a mezzo lampade ad arco e ad incandescenza”. Nel 1894 l’ingresso in tale società di nuovi capitali bresciani trasformò la ragione sociale in società in accomandita semplice “Fraschini, Porta e c.” che si incarico di gestire l’illuminazione pubblica di Domodossola. Fino a che si aprì un forte scontro politico interno al Consiglio Comunale di Domodossola, alla fine del quale, dopo il coinvolgimento di una società terza (la “Società elettrica di Intra”) e l’intervento della Prefettura di Novara, la concessione elettrica venne rilasciata nel 1904 anche ad una compagnia di espressione locale, la “Società Idroelettrica Ossolana”, la quale aveva realizzato nel 1901 un impianto in val Bognanco che sfruttando un salto di 290 metri azionava 3 turbine per 750 HP complessivi, grazie ai quali la Idroelettrica Ossolana fu in grado di praticare una politica tariffaria di oltre il 50% inferiore rispetto alla concorrente bresciana. La storia qualcosa dovrebbe pure insegnarci…
Nel 1898 gli industriali siderurgici Ceretti realizzarono il primo impianto idroelettrico ossolano sull’Ovesca per scopi industriali, con una potenza di 400 HP.
Nel 1899 si costituì a Novara una società anonima con capitali raccolti nel Verbano, la “Società Elettrica Ossolana” che con investimenti realizzati nei bacini della Valle Antrona ricavò l’energia per l’illuminazione della città di Intra. Nello stesso anno la “Società per le Forze Motrici dell’Anza”, con sede a Milano, amministrazione a Novara e l’apporto di capitali svizzeri (la finanziaria della Brown-Boveri) iniziò la costruzione di una centrale elettrica a Piedimulera, che entrò in funzione nel 1907 per l’illuminazione dei centri del lago Maggiore, Orta e di Novara. Tale società si sarebbe fusa nel 1917 con la Dinamo, la quale a sua volta sarebbe passata sotto l’influenza della Edison due anni dopo e sotto il suo pieno controllo nel 1925. Nel 1928 la Dinamo assorbì anche la Società Elettrica Ossolana.
Seguendo così un inevitabile processo di concentrazione, quasi tutte le prime società elettrocommerciali nate nell’Ossola finirono a poco a poco nell’orbita del gruppo Edison.


LA NAZIONALIZZAZIONE DELl’ENERGIA NEL 1962 E I SUOI ERRORI

Per l’economia italiana e per quella ossolana, perciò, veramente l’energia idroelettrica è stata “il carbone bianco”, come diceva la grande scritta che campeggiava sopra uno degli stand del padiglione italiano all’Expo di New York del 1936. E lo è stata fino al 1962 quando tutta l’industria elettrica italiana viene nazionalizzata. Non è il caso qui di ripercorrere la grande discussione che allora si sviluppò sui pro e sui contro di questo atto del primo governo di centrosinistra. È appena il caso, però, di accennare al fatto che quella nazionalizzazione rappresentò un momento di svolta e di crisi per il comparto idroelettrico, non tanto a causa della nazionalizzazione in sé, che forse non era neppure sbagliata, ma per come venne concretamente attuata. Con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, infatti, il monopolio della produzione e della distribuzione passa all’Enel, che, a differenza delle imprese private, non nasce per fare utili, ma per erogare un servizio.
Le perdite di bilancio vengono ogni anno ripianate dallo Stato che ne è il proprietario, mentre il Cip, il Comitato interministeriale prezzi, provvede, di tempo in tempo, ad adeguare le tariffe. Quando nel ’74, con la prima crisi petrolifera il prezzo del petrolio improvvisamente si impenna, questo meccanismo non basta più a reggere i costi, e il management dell’Enel inventa allora il cosiddetto sovrapprezzo termico che consente l’adeguamento automatico delle tariffe ai costi di produzione. Dal meccanismo del sovrapprezzo viene però escluso tutto il comparto idroelettrico che continua a vendere a un prezzo amministrato, cioè basso, senza poterlo adeguare ai maggiori costi di produzione. La produzione idroelettrica diventa così, per la prima volta, cosa assurda, meno conveniente e competitiva di quella termoelettrica . Ma, fatto ancora più grave, il management dell’Enel , proprio grazie al meccanismo del sovrapprezzo che gli consente di trasferire direttamente sui prezzi finali i maggiori costi del petrolio, diventa incapace di innovare e di entrare in settori nuovi come il nucleare. Che interesse avevano, del resto, i manager a innovare, cioè a ricercare nuove fonti energetiche per abbassare i costi di produzione, con quel comodo meccanismo del sovrapprezzo che gli consentiva di presentare bilanci aziendali non disastrosi? Questa è stata per l’Italia una delle conseguenze negative della nazionalizzazione unitamente, cosa ancora più grave, alla scomparsa della gloriosa industria elettromeccanica nazionale.

EFFETTI DELLA NAZIONALIZZAZIONE

Come ha reagito il comparto idroelettrico a questa situazione? Grazie al potere espresso dalla classe politica milanese , la municipalizzata di Milano, l’Azienda Energetica Milanese – AEM riuscì nel ’62 a sottrarsi alla nazionalizzazione e a firmare con l’Enel un accordo per cui il mercato milanese della distribuzione dell’energia veniva diviso esattamente a metà. Il caso dell’Aem aveva poi fatto testo sul piano nazionale, salvando di fatto tutte le municipalizzate. E con le municipalizzate anche le aziende come la Edison e la Falck erano riusciti a salvare i propri impianti. La Edison, che era uscita dal settore elettrico per entrare nella chimica fondendosi con la Montecatini, aveva conferito tutti i propri impianti alla Selm (Società elettrica Montedison), mentre la Falck aveva dato vita nell’82 coi propri alla Sondel. Sia la Selm che la Sondel, due società entrambe quotate in Borsa, nascevano allora da una logica finanziaria, ma operavano comunque in una logica imprenditoriale di mercato formando il nucleo catalizzatore di ciò che sarebbe avvenuto in seguito negli anni Novanta con il ritorno alla liberalizzazione del mercato dell’energia.
La Val d’Ossola, e più in generale il VCO, che non avevano conosciuto l’esperienza delle municipalizzate a seguito delle scelte fatte all’inizio del secolo dalla classe politica domese dell’epoca, rientrò pertanto totalmente all’interno del perimetro di quella che allora venne definita “mamma Enel”.La quale assicurava – grazie alla sua natura pubblica – un posto di lavoro praticamente garantito a tutti coloro che vi trovavano impiego, ma che al tempo stesso svolgeva una
funzione sostanzialmente assistenziale soprattutto nelle vallate alte dell’Ossola, dove il posto sicuro all’Enel veniva visto come una affrancazione sociale da un passato di povertà contraddistinto dall’agricoltura di montagna a basso valore aggiunto e dalle emigrazioni.
Il drenaggio occupazionale dell’Enel, così, se da un lato risolse il problema della occupazione in vallate montane altrimenti a rischio di desertificazione, dall’altro compresse lo spirito di iniziativa e di intrapresa delle popolazioni locali che attiveranno processi di riscoperta delle tradizionali filiere legate alle risorse economiche locali (turismo, zootecnia, enogastronomia) sono in coincidenza con l’estinguersi del ruolo pubblico dell’ente elettrico.

UNA NUOVA FASE NELLA STORIA: LA TRASFORMAZIONE IN SPA E LA QUOTAZIONE IN BORSA, LA LIBERALIZZAZIONE

L’ingresso dell’Italia in Europa con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht nel 1991, unito ad una sostanziale degenerazione partitocratica che avviluppava via via sempre più tutte le Partecipazioni Statali e dalla quale l’Enel non poteva essere esente, impose all’inizio degli anni ’90 un radicale cambio di direzione e di marcia
È infatti nel 1992, quando i partiti storici uno dopo l’altro entrano in crisi, che viene varato il “decreto Amato” che imponeva sia ad Enel che alle municipalizzate il passaggio a spa, spalancandone l’ingresso in Borsa. Il decreto Amato del ’92 e poi il decreto Bersani del ’99 che liberalizza il mercato dell’energia, rompevano lo schema monopolista creato all’inizio degli anni ’60 e costituivano in questi anni la base legislativa per lo sbarco in Borsa di Enel. Grazie a quel decreto è stato possibile all’Aem, ad esempio, dar vita con la Edison, la Atel ed altri alla Edipower e condurre a termine nel 2002 la grande operazione di acquisizione dall’Enel di Eurogen.
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LA NASCITA DI A2A: IL SUO SIGNIFICATO STORICO E IL “VUOTO” DEL VCO

E sempre grazie al decreto Bersani del 1999 è stato possibile condurre in porto l’altra grande operazione di questi anni che è stata la fusione con Brescia e la nascita di A2A.
A2A non è solo un importante evento economico che rimescola le carte sul mercato italiano dell’energia, ma rappresenta per la Lombardia un evento socio-culturale di grande rilievo. In essa, infatti, confluiscono la tradizione del riformismo socialista milanese, impersonata dalla Aem, con quella del solidarismo cattolico bresciano di cui è espressione l’Asm, a dimostrazione che certi fatti non avvengono a caso, non sono solo frutto delle strategie contingenti del momento, ma sono il risultato del lento lavorio della storia e della sua logica di lungo periodo di cui gli uomini, con le proprie scelte, si fanno interpreti. Ecco perché molti ritengono che la nascita di A2A sia uno di quegli eventi destinati a segnare la nostra storia economico- sociale del XXI secolo, allo stesso modo in cui la nascita dell’Aem nel 1910 ha segnato quella del Novecento lombardo.
E già qui possiamo fare una riflessione per notare almeno due punti di cesura tra la realtà del VCO e altri territori simili: il primo primo e rappresentato dal fatto che agli albori del secolo il capitalismo locale aveva rinunciato a farsi guida di un processo, dopo il timido tentativo della Società Idroelettrica Ossolana presto riassorbita dal gigante Edison e senza la volontà della classe liberale dell’epoca di attuare in Ossola ciò che il giolittismo indicava con la legge sui servizi pubblici locali che porterà alla nascita delle potenti municipalizzate nelle città lombarde, Milano e Brescia in testa.
E il secondo punto di rottura sta nel fatto che nel VCO le amministrazioni pubbliche si sono si fatto “addormentate” rispetto al tema dell’energia, pensando che questo fosse sostanzialmente appannaggio esclusivo dell’Enel per quanto attiene alle grandi concessioni di derivazione e del mercato sostanzialmente speculativo locale privato per quanto attiene alle piccole concessioni.


LIBERO MERCATO IN MANO AI PRIVATI O RUOLO GUIDA DEL PUBBLICO?

La liberalizzazione del mercato e il processo di fusione e riaggregazione che ne è seguito ha portato alla nascita di nuovi “colossi” nati dalle ceneri delle precedenti municipalizzate: A2A nasce come fusione tra Milano e Brescia, e stringe relazioni e alleanze industriali
strette con le società elettriche di Trento, Bolzano e dell’Emilia Romagna.
Torino procede integrando la AEM Torino con la AMGA di Genova e lancia in borsa Iride S.p.A, che diventa il terzo operatore nazionale nel settore dei servizi a rete (produzione, vendita e distribuzione di energia, gestione servizi idrici e servizi alle pubbliche amministrazioni), che sottoscrive un patto parasociale con la emiliana Enìa (nata a sua volta dalla fusione avvenuta nel marzo del 2005 tra la Agac di Reggio Emilia, la Amps di Parma e la Tesa di Piacenza).
Noi dobbiamo oggi onestamente prendere atto che la liberalizzazione del mercato dell’energia in Italia non ha comportato quella riduzione dei prezzi che tutti si attendevano. Ci si torna perciò giustamente a chiedere, e lo ha fatto fatto anche il ministro Giulio Tremonti, se il libero mercato totalmente in mano agli operatori privati sia una soluzione obbligata, oppure se per certe attività e per certi settori, come quello dell’energia appunto, non sia più ragionevole che il settore pubblico torni ad avere un ruolo guida. Allo stato attuale è bene dunque ribadire un concetto di fondo : il controllo delle strategie del settore energetico sia fatto da parte del pubblico, la gestione venga effettuata in base alle regole di mercato.
Questo per il Verbano Cusio Ossola rappresenterebbe una autentica rivoluzione, visto che qui il pubblico non ha fatto una autentica strategia, e le regole del mercato non sono mai esistite visto che non è stata fatta UNA SOLA GARA delle attuali 161 concessioni idroelettriche PUBBLICHE rilasciate nel territorio provinciale per una straordinaria potenza media nominale installata di 391.872,18 kW!

LE SFIDE CHE ABBIAMO DI FRONTE

Questa può essere una buona base per affrontare le vere sfide strategiche che ci vengono dal contesto globale del mercato dell’energia.
1) La prima è l’esplosione demografica di paesi come la Cina, l’India o il Brasile, con la conseguente crescita esponenziale della domanda di energia. E’ questo un dato che non possiamo fermare e che non sarebbe neppure giusto fermare, perché non si può negare ai paesi emergenti il diritto di crescere e di svilupparsi come noi abbiamo fatto.
2) Avremo quindi sempre più bisogno – e questo è il secondo punto – di energia in quantità crescente, facilmente disponibile e a basso costo, che ci sottragga ai ricatti del terrorismo e alle trappole della geopolitica. E che ponga il Verbano Cusio Ossola in un’ottica di competitività e di attrazione per aziende industriali e manifatturiere di nuova generazione che siano interessate all’impiego di energia rinnovabile
3) Ma avremo anche sempre più necessità di rispettare l’ambiente e gli equilibri ecologici del pianeta che potrebbero essere seriamente compromessi dall’uso massiccio di fonti energetiche inquinanti.


IL RINNOVO DELLE CONCESSIONI E LE LINEE DI UN NUOVO RAPPORTO CON IL TERRITORIO DEL VCO: IL MODELLO BOLZANO E TRENTO

Se guardiamo agli ultimi cento anni, il VCO – e la Val d’Ossola in particolare – è stato con le proprie risorse idriche protagonista della vita economica regionale e nazionale. Ma lo è stato passivamente come terra di conquista e di colonizzazione. Dell’Edison e della Dinamo dapprima, dell’Enel successivamente. E poi della pletora di piccoli produttori, selezionati in maniera eccessivamente rapida, sbrigativa e burocratica senza che si sia attivata una reale politica di competizione e di conseguente maggiore ritorno sul territorio.
Noi ora vogliamo che il nostro territorio sia protagonista anche nel nuovo scenario strategico internazionale che ho disegnato. E che lo sia in forme più strette e più forti che in passato, non più solo come territorio produttore del bene acqua e del bene energia monetizzato in maniera quasi esilarante con il concetto ormai datato dei sovracanoni di bacino imbrifero montano , ma come vero e proprio partner territoriale di un progetto industriale. Questo, insomma, non è e non deve essere più per noi un territorio dove lasciare qualche regalia e qualche compensazione, ma è un territorio che noi vogliamo rendere soggetto attivo nel nuovo scenario energetico internazionale.
Non lasciamoci spaventare dalle nostre dimensioni piccole! Se guardiamo un piccolo territorio svizzero come Poschiavo, piccolo comune di 3.500 abitanti nei Grigioni, ci accorgiamo che qui ha sede una società, la Rezia Energia, che oggi vende e distribuisce energia in mezza Europa, fra cui l’Italia. Guardiamo un altro piccolo paese della vicina Svizzera, Olten nel canton Soletta grande come Omegna con i suoi 16.000 abitanti dove ha sede la Atel, ora riassorbita nel gruppo “Alpiq Holding SA” un’altra società che in più di cento anni di vita è riuscita a diventare un piccolo colosso mondiale dell’energia.
Perché ciò che è stato possibile a due passi da noi, non deve essere possibile qui, nel Verbano Cusio Ossola?
Il rinnovo delle concessioni idroelettriche può diventare – e deve diventare – l’occasione per rifondare su basi nuove il rapporto fra i produttori idroelettrici e la Provincia del VCO col decollo di un’Azienda di Valle, che potremmo chiamare “Azienda Energetica delle Valli Lepontine” o “VCO Energia” a partecipazione pubblico-privata, inserita in un più vasto progetto industriale in grande di darle immediatamente una prospettiva nazionale e internazionale. Ma in questa direzione occorrerà stabilire alcuni punti fermi :
– Il primo è che la risorsa acque è una risorsa del territorio e dunque la sua gestione non può essere delegata alla Regione, ma deve far capo alla Provincia in stretto raccordo con i Comuni dove insistono le opere di presa e di lavorazione e con le Comunità Montane per effettuare la necessaria perequazione funzionale ad una seria operazione di equilibrio ambientale e socio-economico.
– Il secondo è che, accanto alle istituzioni, una Azienda energetica delle nostre Valli deve vedere come soggetti protagonisti al proprio interno anche gli industriali, le forze imprenditoriali e le banche del territorio, in primis la Banca Popolare di Intra che avrebbe in tal modo l’occasione concreta per fugare ogni dubbio che spesso aleggia circa la sua reale volontà di rimanere radicata sul territorio nel quale è nata.
Il modello cui guardare è quello già sperimentato con le Province di Trento e di Bolzano, dove con successo si è unita la capacità del pubblico di guidare le strategie e la logica di mercato per la gestione del comparto.
Solo così il Verbano Cusio Ossola potrà compiere quel salto di qualità che la sua economia oggi richiede e che solo in questo quadro si potrà discutere di energia a basso costo o a costo zero e di altri vantaggi territoriali altrimenti impossibili da conseguire.
Per il VCO l’inedia, l’inerzia o peggio ancora l’ignavia su questo tema non solo sarebbe uno schiaffo inaccettabile, ma anche un vero e proprio danno per le generazioni future. Questo è dunque il bivio dinnanzi a cui si trova oggi la Provincia del VCO.
Cogliere, in coincidenza con la scadenza delle concessioni, l’occasione di un’apertura da protagonista sul mercato internazionale dell’energia, che significa gestire direttamente in prima persona le proprie risorse idriche riscattando un secolo di sostanziale colonizzazione, oppure rimanere chiusa nel proprio risentito e rancoroso rivendicazionismo di piccoli vantaggi territoriali e monetari, condannandosi a rimanere incapaci di sostenere un progetto di sviluppo per queste valli entro lo scenario energetico che si apre di fronte a noi.